Milano è una delle città più colpite dal Coronavirus. Oltre che per il centro, il lockdown è stata una prova di sopravvivenza per realtà più degradate, come i campi nomadi che si trovano nelle periferie. Secondo un report dell’Associazione 21 luglio, negli insediamenti del capoluogo lombardo vivono oltre tremila persone e spesso sono solo i volontari che si occupano di proteggerle e tutelarle a maggior ragione durante una situazione di emergenza sanitaria come quella attuale.
Elisabetta Cimoli, tramite la Comunità di Sant’Egidio di Milano, lavora come volontaria in un insediamento situato nella periferia sud di Milano, dove al momento abitano 38 nuclei familiari appartenenti a popoli rom e sinti. La comunità si occupa dell’iscrizione alle scuole dei minori e di attività di supporto per favorire l’aggregazione e la convivenza con ragazzi provenienti da realtà e quartieri diversi. Agli adulti viene fornito aiuto nell’accompagnamento al lavoro, nella comprensione di temi per loro complessi come la sanità, la legalità e la burocrazia. «C’è comunque una base di amicizia – spiega Elisabetta –. L’intento è fargli vivere meno il campo e più l’interazione con gli altri. Per questo ci vediamo tutte le settimane».
Le famiglie dell’insediamento hanno seguito le notizie riguardanti l’allarme Covid-19 fin da novembre 2019, quando la presenza del virus era confermata solo in Cina, e subito si sono mostrate preoccupate. È stata la comunità stessa a confrontarsi con loro e, attraverso le loro competenze, rispondere alle loro domande e preoccupazioni, oltre che a fornire mascherine e guanti per la protezione personale. «Solo ultimamente abbiamo trovato un accordo con il Comune di Milano – racconta la volontaria –. Abbiamo chiesto a un’equipe di esperti di venire al campo per spiegare le nuove direttive della fase due». Ma la corretta informazione non è l’unico problema a cui sopperire. Molti dei residenti hanno impieghi come camerieri, baristi, addetti alle pulizie o nel settore dei trasporti. Da un giorno all’altro si sono trovati senza lavoro e senza un’entrata economica, quindi la loro principale preoccupazione è diventata come procurarsi i beni di prima necessità. «Da inizio aprile io e altri membri della comunità abbiamo cercato di aiutarli con un supporto agli alimenti – riferisce Elisabetta –. I diversi municipi di Milano hanno fornito qualcosa settimanalmente nell’ultimo periodo, ma stiamo cercando di implementare questo servizio perché non è abbastanza per sostentare unicamente e in modo risolutivo a un nucleo familiare anche piccolo».
Elisabetta Cimoli spiega che anche l’abbandono scolastico, nel lungo periodo, rischia di diventare una difficoltà a cui la Comunità di Sant’Egidio sta cercando di ovviare. «I minori che vanno a scuola in questo campo sono circa 80 su 100. Negli anni abbiamo lavorato molto sulla scolarizzazione ed eravamo riusciti a ridurre sensibilmente i casi di dispersione. Con l’inizio dell’emergenza rischiavamo di fare passi indietro, invece diverse scuole sono diventate più attente all’inclusione. Per le famiglie che non hanno a disposizione la strumentazione per garantire ai propri figli le lezioni da remoto, è molto più difficile restare al passo. Gli insegnanti sono stati bravi a recuperare questi alunni più difficili da avvicinare».
Come chiarisce Elisabetta, gli abitanti degli insediamenti non autorizzati, che a Milano sono realtà frequenti, hanno percepito il pericolo dell’emergenza Coronavirus e hanno attuato fin da subito comportamenti responsabili. È importante ora che il Comune, insieme alle associazioni, faccia in modo che gli sforzi non siano vanificati dal disagio.