Luciano Minguzzi è stato scultore, pittore e medaglista. Figura artistica di grande rilievo del ‘900 italiano, il Maestro è nato a Bologna il 24 maggio 1911 e morto a Milano il 30 maggio 2004: Bologna e Milano unite da un lungo filo d’arte e cultura. Di Luciano Minguzzi si ricordano principalmente le porte eseguite per il Duomo di Milano e la Porta del Bene e del Male nella basilica di San Pietro in Vaticano (1970-’77). Il Maestro ha realizzato poi una Statua di Papa Wojtyla eretta davanti alla Cattedrale di Cracovia nel 1983. Ma non solo sacro: Minguzzi è stato anche autore di opere più licenziose come le due amanti e diversi acquarelli più espliciti per illustrare il Decameron di Boccaccio. Un artista tra demonio e santità, tra Emilia e Lombardia, che offre lo spunto per narrare, oltre a una storia d’arte, anche di una gustosa ricetta molto nota a Milano, ma di produzione e fama bolognese.
Il tradimento bolognese
La famosa Porta del Bene e del Male, nonostante si trovi in Vaticano e si creda commissionata da Paolo VI, è stata invece pensata e realizzata per la città di Bologna e commissionata dal Cardinale Giacomo Lercaro (arcivescovo di Bologna dal 1952 al 1968). L’opera venne commissionata in modo formale a Minguzzi dal Cardinale che lo aveva invitato a pranzo nel soggiorno della casa arcivescovile. Ma, una volta conclusa, la Porta non venne accettata dalla Soprintendenza bolognese a causa di leggi riferibili alla conservazione dei beni culturali: fu giudicata troppo moderna per una chiesa così antica. Fu allora che per volontà di Papa Paolo VI la porta fu trasferita a Roma e adattata, tagliandola di 20 cm, per la Basilica di San Pietro. La nuova, e prestigiosa, ubicazione non piacque però al Maestro. Quando nel 1987 Minguzzi venne ricontattato da Monsignor Vecchi, su incarico questa volta del Cardinale Biffi, per la commissione di una nuova opera destinata alla costruzione di un centro alimentare per combattere l’elevata mortalità infantile in Tanzania, il Maestro amareggiato fece il gran rifiuto: Mi dispiace per lei, ma non posso accettare, perché la mia città mi ha offeso respingendo l’opera destinata a San Petronio, a cui tenevo tanto. (1) E infatti, analizzando la Porta in San Pietro si trovano riferimenti e icone bolognesi come i santi Vitale e Agricola e lo stesso Cardinale Lercaro.
La mortadella milanese
Il cibo per Luciano Minguzzi era ovviamente un lungo tavolo apparecchiato tra Bologna, la sua città natale, e Milano, quella d’adozione. Le due città si spartiscono anche la conoscenza storica della mortadella, ghiottoneria nota e apprezzata in tutto il mondo. La scoperta della ‘milanesità’ della mortadella è merito di un archivista dell’Archivio Diocesano di Guastalla, che ha ritrovato casualmente un foglio (databile alla fine del ‘600) sul quale è riportata la ricetta della mortadella ‘milanese’ trascritta da un curato goloso in bella grafia accanto a quella del cotechino di Cremona.
La ricetta storica della mortadella era una preparazione manuale e casalinga con varianti locali e personali, che risultava cremosa (dapprincipio realizzata con carne e formaggio, successivamente con carne e lardo) e assai insaporita. (2) La ricetta storica della mortadella IGP (sublimazione del maiale) La prima ricetta bolognese è riportata nel Libro Novo (1557) attribuibile a Cristoforo da Messisburgo, che riporta un lungo elenco di cibi che dovevano essere a disposizione per la venuta di ogni gran Principe o Nozze, o qualunque altra cosa che possa accadere di importanza.
Ecco i consigli e la ricetta per le mortadelle di carne:
accompagna (la carne) magra con la grassa, e pesta benissimo il tutto, dopo appesalo, e per ogni libre venticinque di carne gettali dentro in due, tre volte, once dieci di sale, e oncia una di Pevere ammacato. Quindi pestata col pugno e rimescolata ogni cosa insieme per spacio d’un hora spumegiando, e poi aggiungeli uno bicchiere di vino nero puro, e poi lasciala stare così impastata per spacio di due, o tre giorni che non importa. All’impasto era lecito aggiungere lomboli di carne tagliati in morelli, orecchie rasate brustolate o lingue pelate.A completamento della ricetta vennero in seguito aggiunte, per i palati più facoltosi, le spezie provenienti dal lontano Oriente (noce moscata, cannella, zenzero, cumino e zafferano) e, per i meno abbienti, ingredienti locali e più economici come le erbe aromatiche (rosmarino, salvia e timo).
Anche questa mortadella ‘originale’, non prevedendo la cottura, risultava piuttosto morbida e cremosa in seguito alle sole operazioni di insaccatura e blanda stagionatura. Il successo di questa preparazione alimentare fu subito enorme. A fine del ‘600, la mortadella di Bologna era già apprezzata e richiesta in Inghilterra, Francia e persino nell’allora lontanissima America. Oggi la vera, e moderna, ricetta della mortadella è raccontata così da Franco Marchi, uno dei pochi eredi dell’Arte dei Salaroli: Si deve scegliere unicamente la parte magra del maiale che è la spalla, sgrassata accuratamente, poi macinata finissima, quasi ottenendo un puré di carne. Quindi viene selezionato il guanciale del maiale, che viene tagliato a piccoli cubetti. Tutto viene impastato e condito con sale e pepe. Niente spezie. Infine si mette la mortadella, insaccata in vesciche di bue, nella stufa a 100 gradi, per dieci e anche dodici ore di cottura. Tutto qui. La mortadella, una ricetta semplice ma per nulla banale. Luciano Minguzzi (il prossimo anno si celebreranno i cento dieci anni dalla sua nascita) ha realizzato anche sculture e piastrelle per i ristoranti milanesi che frequentava e che erano ritrovo abituale di artisti e personaggi famosi. Il Maestro rappresenta così, non solo artisticamente con le sue opere più titolate, un’unione ideale tra la gaudente Bologna e Milano. Due città d’arte e gastronomia che caratterizzano con i loro nomi piatti universali: “bologna”, la mortadella, e “milanese”: la cotoletta.
a cura di Marta Zanichelli