Vivere la notizia da protagonisti e non più da spettatori. E’ questa la grande novità offerta dal giornalismo immersivo. Un nuovo modo di comunicare che esalta la forza e il valore dell’emozione legata a un’esperienza diretta, più che da quella narrata e registrata razionalmente dalla lettura della storia.In questo caso il coinvolgimento della dimensione emozionale rappresenta l’elemento più caratterizzante del processo. Se lo spettatore viene catapultato in una realtà parallela, vivendo in prima persona l’esperienza, si creano le condizioni per provare le stesse emozioni e sensazioni che avrebbe vissuto nella realtà vera. Grazie alle neuroscienze oggi sappiano che le emozioni non sono più elementi disturbanti del processo cognitivo, ma ne solo l’elemento più caratterizzante. La risonanza magnetica del cervello, effettuata durante le reazioni alle stimolazioni, ci conferma, infatti, che “non siamo macchine pensanti che si emozionano ma macchine emotive che pensano”.
Le emozioni guidano i processi decisionali più di quanto abbiamo mai immaginato e ipotizzato. Esse permettono di memorizzare gli elementi di una storia con più forza di quanto si possa fare con il semplice processo riflessivo. A volte ciò avviene anche inconsapevolmente. Non a caso, la parte più importante del sistema mnemonico si trova nel Sistema Limbico, ovvero nella zona del cervello in cui risiedono le strutture deputate a determinare le emozioni. Ciò che ci emoziona viene, pertanto, memorizzato con più forza e più facilità. Antonio Damasio, noto neuroscienziato, ha dimostrato come le emozioni riescano a modificare strutturalmente le connessioni cerebrali, creando un forte legame tra l’emozione provata e la memorizzazione dello stimolo che l’ha determinata. Si comprende bene quale possa essere la forza dirompente del giornalismo immersivo. Ricordiamoci che come aveva detto il noto neurologo D. Calne afferma che “se la ragione porta a pensare, l’emozione porta ad agire”. Il problema della veridicità della narrazione rimane, però, irrisolta. Anzi sembra acuirsi notevolmente, poiché la memorizzazione del fatto narrato è sempre più strettamente connessa a come viene costruita la dimensione immersiva, da come vengono “disegnati” e proposti gli stimoli e dalle caratteristiche della narrazione, incrementando ulteriormente la responsabilità deontologica di chi progetta la storia da narrare.