Cibo del futuro, cibo della tradizione

A chiusura di Expo Milano, il CNR ha organizzato la conferenza Nuovi cibi tra ricerca, sostenibilità e innovazione. Un responsabile del padiglione della Cina, con grande interesse, ha chiesto quali fossero gli alimenti del futuro per noi italiani, depositari della cultura alimentare occidentale. Come da programma del CNR, la risposta è stata “alghe, insetti e meduse”. Il dirigente cinese ha sorriso a lungo, prima di dire: “il cibo della nostra tradizione!”.

Quello che per alcuni è innovazione, per altri è tradizione. Di più, si può certamente affermare che la tradizione ha inizio con un’innovazione. Patate e Melanzane (mala-insana = frutto insano) sono stati inizialmente considerati cibi “impuri” e utilizzati unicamente come cibo per animali. La melanzana arrivò in Europa nel Medioevo grazie agli arabi che la diffusero in Sicilia e in Spagna. La patata invece comparve in Europa solo a metà del ‘500 e attese quasi due secoli prima di essere accettata come alimento umano, a fine ‘800, grazie alla scoperta che la solanina, alcaloide potenzialmente tossico, veniva inattivata dalla cottura.

Come possiamo affermare che uno dei nostri prodotti italiani più amati: la pizza, è davvero un nostro cibo, quando il pomodoro è arrivato in Europa nel 1492? Nell’ampia zona mediterranea erano noti impasti cotti di grano e acqua fin dall’anno mille, mentre la napoletanissima pizza margherita è databile solo 1889.

Per quanto riguarda gli insetti, considerati lontani dalla nostra cultura e tradizione, le locuste erano regolarmente consumate in Grecia insieme alle cicale, citate da Aristotele come un alimento molto apprezzato. Ai Romani piacevano invece le larve di un coleottero noto come “cossus” che venivano nutrite con farina e vino (Plinio, Naturalis Historia). Anche Leonardo da Vinci nel suo libro Note di cucina aveva redatto un elenco di insetti commestibili: grilli, api e bruchi.

In molte regioni italiane (dalla Puglia al Piemonte, dalla Sardegna alla Lombardia) troviamo ancor oggi la produzione artigianale di formaggi ‘saltellanti’ come il “formaggio punto” o il più noto “casu marzu” (formaggio sardo oggi Presidio Slow Food) dove le mosche (Piophila casei) depongono le uova, e le larve lavorano la pasta del formaggio rendendola cremosa e aromatica.

Gli insetti sono stati utilizzati tradizionalmente anche nell’industria delle bevande alcoliche, con il rosso di Campari e Alchermes ottenuto dalla cocciniglia. Ma come la mettiamo con il disgusto provocato da molti nuovi cibi? Il disgusto spesso si tramuta in gusto e moda, come nel caso del sushi: pesce crudo avvolto in riso e alghe e aromatizzato con salsa di soia, apparentemente poco appetitoso per l’Europa.

Certo le avversioni esistono e restano come fatto culturale, soggettivo, affettivo, ma vengono mitigate da globalizzazione, crescente diversità etnica, ricerca di nuove fonti di nutrienti. Nei Paesi anglosassoni è bandita la carne di cavallo (da noi abbiamo invece le macellerie equine), negli USA il coniglio è considerato animale affettivo, come cane e gatto, e dunque non commestibile (niente gustoso coniglio alla ligure con olive e pinoli), in Oriente il latte è una secrezione mammaria poco invitante (in barba alle nostre mozzarelle). Noi italiani non mangiamo serpenti – anguille e capitoni sì – e insetti ma apprezziamo i crostacei che ne sono parenti molto stretti, basti pensare alla morfologia di grilli e gamberetti.

Oggi consideriamo alimenti comuni prodotti che non sono tradizionali come mais, kiwi, bacche di goji. Un cibo come gli insetti, consumato da non meno di 60 paesi nel mondo (circa 3 miliardi di persone), ha già iniziato il suo cammino di cittadinanza europeo. Piaccia o meno, il progresso è fatto di innovazioni che, nel tempo, diventano esperienza comune e dunque tradizione.

a cura di Marta Zanichelli

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