betovistr.com palacebet1.com elipsbetr.com masterbet trwin casino betandyou34.com vbett34.com beinwonx.com tlcasino kalebet34.net

Attenzione all’effetto ottovolante

L’undici ottobre 1963, due giorni dopo la tragedia del Vajont, Gianpaolo Pansa attaccava così il suo reportage da Longarone: ”Scrivo da un paese che non esiste più: spazzato in pochi istanti da una gigantesca valanga d’acqua, massi e terra piombata dalla diga del Vajont”. In 25 parole un’immagine, e un’emozione, che magistralmente fotografavano l’enormità della catastrofe. E poi in 140 righe tipografiche i numeri e le storie di quella tragedia. Gli occhi e la sensibilità di un grande inviato capaci di sintetizzare lo sgomento, l’orrore e la dismisura di quanto stava osservando, camminando fra le macerie, i cadaveri e le vite sconvolte dei sopravvissuti.

Il lead di quell’articolo di Pansa uscito sulla prima pagina della Stampa è, giustamente, materia da manuali di g iornalismo.

Ora immaginiamo di raccontare quella stessa tragedia attraverso la tecnica dell’immersive journalism. Immaginiamo che Pansa avesse con sé una sofisticata videocamera in grado di portarci “dentro la scena” a 360 gradi, di accompagnarlo in quella camminata fra i resti della catastrofe, di mostrarci la disperazione e l’angoscia dei vivi e i corpi dei morti in mezzo al fango e alle macerie di case che improvvisamente si sono trasformate in tombe.
Per commentare quelle immagini, forse, sarebbe bastato dire “questo è quel resta di Longarone” e forse sarebbe stato superfluo persino dirlo. La forza emozionale di quelle immagini avrebbe prevalso, in ogni caso, sul testo.

La domanda, a questo punto, è la seguente: siamo certi che la disponibilità di una nuova, straordinaria, tecnica – come l’immersive journalism –  arricchisca la conoscenza e il grado di informazione di chi ne fruisce? Io penso che la potenza, e l’importanza, di un articolo come quello di Pansa quasi 54 anni fa, non siano replicabili. Perlomeno che non lo siano sul piano della compiutezza professionale e del servizio reso al pubblico.

Andrea Sceresini, autore del documentario “Dentro la guerra”, girato con videocamere a 360 gradi, rileva giustamente che “c’è una grammatica ancora da costruire”. Ecco: oggi si dice che l’immersive journalism è una “total experience”, ma per il momento somiglia più a una corsa sull’ottovolante, che a un viaggio nella notizia, come il buon giornalismo dovrebbe essere.                 

No Comments Yet

Leave a Reply