Stati Uniti, la Virginia verso l’abolizione della pena di morte

La Virginia sta per diventare il ventitreesimo stato, il primo nel sud degli Stati Uniti, ad abolire la pena di morte. Lunedì 22 febbraio è stata approvata la legge, proposta e votata dal senato a maggioranza democratica di Richmond, che elimina la pratica delle esecuzioni capitali, vigente da oltre 300 anni, in uno tra gli stati che ha inflitto più condanne a morte degli USA. Affinché diventi effettiva, la legge dovrà ora essere firmata dal governatore democratico Ralph Northam, il quale si è detto favorevole all’approvazione.

In una votazione a parte, i legislatori hanno anche votato per la legalizzazione della cannabis, con vendite al dettaglio previste a partire dal 2024.

Le votazioni

Durante le votazioni di lunedì 22, si sono registrati 57 voti favorevoli e 41 contrari all’abolizione della pena di morte. I democratici della Virginia, in controllo dell’Assemblea Generale per il secondo anno consecutivo, hanno promosso l’iniziativa fin da inizio febbraio. Hanno definito la pena arcaica e inflitta in maniera sistematica a persone non bianche, con problemi di salute mentale e indigenti.

Tra i promotori della legge, il senatore Lee Carter, che ha considerato la pena capitale una pratica “barbarica, possibilmente la forma di ingiustizia più estrema di cui lo stato si possa far carico.” Quanto introdotto da Carter rimuove definitivamente ogni riferimento alla pena di morte tra le potenziali pene impartibili dallo stato.

D’altra parte, la maggior parte dei repubblicani ha argomentato che, per determinati crimini, la pena di morte debba essere garantita, mostrando solidarietà con le vittime e i familiari in attesa di giustizia. Tuttavia, tre senatori repubblicani si sono uniti alla maggioranza democratica, in supporto dell’abolizione. “Il governo non dovrebbe dedicarsi a uccidere vite umane. È immorale e inumano,” ha dichiarato il democratico Marcus Simon a inizio mese, quando il provvedimento era iniziato a circolare.

Attualmente in Virginia si contano due persone in attesa di una condanna a morte, entrambe afroamericane: Anthony Juniper, condannato nel 2004, e Thomas Porter, nel 2005. Con il recente provvedimento, la loro sentenza verrebbe convertita in ergastolo senza condizionale.

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Il reverendo Sylvester Edwards durante una manifestazione a favore dell’abolizione della pena di morte, luglio 2020.
La storia razzista della pena di morte in Virginia—e negli USA 

Con più di 1400 persone giustiziate, la Virginia è tra gli stati con il maggior numero di condannati a morte degli Stati Uniti. La prima esecuzione risale al 1608, nella colonia di Jamestown, quando una persona fu giustiziata per spionaggio, secondo quanto riportato dal Centro Informazioni sulla Pena di Morte. Da quando, nel 1976, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha reintrodotto la pena di morte in Virginia, si sono contate 113 condanne, rendendo lo stato secondo solo al Texas. 

Storicamente, negli Stati Uniti, il sistema schiavista ha fatto sì che fosse principalmente la popolazione nera a venire sentenziata a morte, per un più ampio spettri di infrazioni sociali rispetto alla controparte bianca. Durante lo schiavismo, la pena di morte era uno strumento di controllo delle comunità nere, usato per scoraggiare le ribellioni. In tutto il ventesimo secolo, 296 afroamericani sono stati giustiziati, a fronte di 79 bianchi. 

“C’è una lunga storia che vede la pena di morte come strumento di oppressione in questo Paese,” ha dichiarato Michael Stone, direttore esecutivo dei Virginians for Alternatives to the Death Penalty (VADP). Prima della Guerra Civile, le leggi negli stati del sud, tra cui la Virginia, prevedevano diverse pene a seconda della razza degli incriminati. “Nel 19esimo secolo, in Virginia, lo stesso crimine che avrebbe fatto finire in prigione una persona bianca per tre anni, per una persona nera equivaleva alla pena di morte.”

Stone ha poi riconosciuto nel movimento Black Lives Matter, a seguito dell’uccisione di George Floyd lo scorso anno, una grande fonte di ispirazione nella lotta alle ingiustizie e disparità razziali di cui è intriso il sistema penale statunitense.

Sonia Maura Garcia

Sonia M. Garcia, peruviana nata in Italia e stabile a Milano, è dj, giornalista, contributor per diverse riviste, tra cui VICE, Noisey, i-D, Flash Art, Zero, Norient, e founder della piattaforma SAYRI. Le sue ricerche indagano le nozioni di appartenenza, identità, colonialità e memoria, con un approccio anti-egemonico. SAYRI è una piattaforma e format di eventi incentrata su arti ed esperienze di donne e dissidenze affettive o di genere, provenienti dall’America Latina e dalla sua diaspora.

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