Evitare l’esplosione di un secondo fronte in Medio Oriente. Questo l’obiettivo dei colloqui organizzati per il 1° marzo a Roma, tra i leader militari e diplomatici italiani, quelli europei e del Libano. Si tratta dell’ultimo atto di un lavoro di negoziazione sommersa in corso da parecchie settimane.
Un ritiro da orchestrare
Dopo mesi di trattative, i vertici militari italiani ed europei sono pronti ad affinare gli ultimi dettagli del grande piano per la pace in Libano meridionale. Un’area instabile, bersagliata dalla risposta israeliana ai sempre più intensi attacchi da parte delle milizie di Hezbollah. I ribelli filoiraniani avrebbero perso già 228 uomini, ma continuano a minacciare l’escalation.
Per evitarla, l’opzione è una sola: costringere il braccio armato del “partito di Dio” a ritirarsi oltre il fiume Litani, indicato dalla risoluzione ONU 1701 come limite settentrionale della zona di separazione tra milizie palestinesi e Israele. Ma convincere Hezbollah non è semplice. Serve forza, autorevolezza. Servono militari, che assumano il monopolio dell’azione armata. Militari che siano già stanziati nell’area. Soprattutto libanesi e italiani.
Alte gerarchie (e assenze)
Il palcoscenico della giornata romana è duplice: prima Via XX Settembre, allo Stato Maggiore della Difesa. Ospite il generale Joseph Kalil Aoun, comandante delle forze armate libanesi. Lo accoglie l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo di Stato Maggiore della Difesa, insieme agli omologhi francesi, tedeschi, britannici e spagnoli. Dopo il colloquio tra “colleghi”, Aoun viene ricevuto a palazzo Chigi.
Ma alla presidenza del Consiglio non c’è la padrona di casa, Giorgia Meloni, impegnata in un viaggio negli Stati Uniti per parlare con il presidente Joe Biden. Al suo posto, ad accogliere il generale libanese, c’è il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Diplomazia
Non è un caso che a rappresentare il governo sia Tajani. Il lavoro svolto in questi mesi è stato soprattutto diplomatico. In prima battuta, l’idea di impegnarsi in una pacificazione dell’area sud-libanese è arrivata dagli americani, dallo stesso Biden che Meloni incontra a Washington. La scelta di rivolgersi all’Italia è dettata dagli ottimi rapporti tra Roma e Beirut (fronte interno), Tel Aviv (primo fronte esterno) e Teheran (secondo fronte esterno).
Gli italiani presidiano il Libano del Sud da decenni, con le forze ONU di UNIFIL. La lunga presenza ha permesso di instaurare una proficua collaborazione con le forze armate e la politica locale. L’invito del generale Aoun non è casuale: sembra scontato che proprio l’alto ufficiale sarà il prossimo presidente del Paese dei cedri. Nessuno meglio di lui può interfacciarsi tanto con il governo in carica quanto con Hezbollah.
Per procedere a qualunque tipo di accordo occorre un passaggio da Israele. Passaggio che ha dato esito positivo. Per dirla con le parole del premier Benjamin Netanyahu, lo Stato ebraico è ben disposto nei confronti di Beirut «se non verrà messa a rischio la sicurezza». Luce verde, quindi. L’ultimo nulla osta da ottenere è anche il più complicato: quello dell’Iran, che finanzia e dirige Hezbollah. I negoziatori italiani sono al lavoro anche su questo fronte. Si spera in maniera proficua.