Il governo italiano guidato da Giorgia Meloni ha fatto approvare in Senato il 18 giugno 2024 una proposta di riforma costituzionale che mira a instaurare il cosiddetto “premierato”.
La riforma – di cui si è iniziato a parlare già a novembre 2023 – è ora in attesa di esame alla Camera dei Deputati. La novità radicale sarebbe nel modo in cui gli italiani eleggono il loro Presidente del Consiglio dei ministri, proponendo un’elezione diretta. Ma non solo.
Un presidente del consiglio 2.0
L’obiettivo dichiarato è il rafforzamento della figura del capo del governo, conferendo un mandato più stabile e diretto. Si risolverebbe così l’instabilità che ha caratterizzato la politica italiana negli ultimi decenni, con 68 governi negli ultimi 79 anni, dal 1945 a oggi.
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Nel dettaglio, la riforma propone una serie di modifiche radicali al funzionamento della politica italiana, mirando a ridefinire il ruolo e le modalità di elezione del capo del governo.
L’obiettivo è chiaro: trasformare una figura che, fino ad oggi, è stata scelta in maniera indiretta e spesso soggetta a frequenti cambi di maggioranza e instabilità, in un leader scelto direttamente dal popolo e dotato di maggiore stabilità e autorità. Un presidenzialismo ibrido che porterebbe con sé numerosi cambiamenti.
I numeri della riforma
La riforma del premierato prevede che il Presidente del Consiglio, eletto per un mandato di cinque anni, non possa servire per più di due legislature consecutive. Tuttavia, una clausola permette un’estensione fino a tre legislature, circa 15 anni, nel caso in cui il primo mandato non copra un intero quinquennio per caduta anticipata del governo.
Statisticamente la media della durata dei governi italiani dall’epoca post-bellica è di circa 13 mesi. Un indicatore della cronica instabilità politica che questa riforma mira a superare. Anche se il governo Meloni, ad oggi, è uno dei più longevi della storia repubblicana con 606 giorni in carica al 19 giugno 2024. Risultato che lo porta al 13esimo posto tra i governi più stabili e duraturi della storia del nostro Paese.
Modifiche e nuovi poteri
L’innovazione non si ferma all’elezione diretta del premier. Il Parlamento dovrà approvare una nuova legge elettorale per garantire al partito o coalizione del Presidente del Consiglio un numero di seggi adeguato a mantenere la stabilità del governo, attraverso un sistema di “premio di maggioranza“.
Una rivoluzione epocale per il sistema politico italiano, che è sempre stato caratterizzato da coalizioni fragili ed eterogenee. Con il nuovo sistema si punta a una maggioranza solida e funzionale.
Anche il ruolo del Presidente della Repubblica subirà significative modifiche: da figura che “nomina” il Presidente del Consiglio, a un ruolo più cerimoniale di “conferma” dell’incarico, con una minore influenzabilità verso il governo.
La riforma costituzionale, infine, vorrebbe togliere al presidente della Repubblica il potere di nominare i senatori a vita, sancito dall’articolo 59 della Costituzione. I cinque senatori a vita attualmente in carica non perderebbero il loro seggio al Senato, se in futuro la riforma dovesse essere approvata. Rimarrebbero in carica ma non se ne potrebbero nominare di nuovi.
Tempi e scadenze
L’iter, comunque, è tutt’altro che concluso. L’approvazione della riforma del premierato in l Senato è solo uno dei traguardi del tortuoso viatico prima della definitiva approvazione. Ora il disegno di legge di riforma costituzionale dovrà essere approvato alla Camera, prima nelle commissioni parlamentari competenti e poi in aula, dove potrà persino essere modificato. Nel qual caso tornerebbe al Senato per essere riapprovato.
Ogni votazione deve avvenire a 3 mesi di distanza dall’altra. Seguirà una seconda votazione. Se in questo caso sia il Senato sia la Camera approvassero il testo a maggioranza dei due terzi dei componenti, la proposta di riforma si considererebbe approvata. In alternativa rimarrebbe valida l’ipotesi di referendum, in cui gli elettori potrebbero approvarla o bocciarla direttamente. Forse uno dei metodi più appropriati, per una riforma che si propone – in teoria – di conferire più potere di scelta al popolo.