UNGHERIA, VIETATO IL PRIDE E RICONOSCIUTI DUE GENERI DALLA COSTITUZIONE

Viktor Orbàn, primo ministro dell’Ungheria, colpisce ancora la comunità Lgbtq+. Il Parlamento lunedì 14 aprile ha approvato un emendamento che introduce nella Costituzione ungherese il divieto al Pride, il binarismo di genere e la repressione dei dissidenti. Un’ulteriore stretta ai diritti e alle libertà dei cittadini, definita l’ultima offensiva illiberale del premier.

Contro il Pride

Con il nuovo provvedimento, passato con 140 voti a favore e 21 contrari, viene data una base costituzionale alla legge proposta il 18 marzo, vietando la marcia annuale. Che quest’anno sarebbe giunta alla 30esima edizione. Una limitazione dettata dal fatto che «i diritti dei bambini per il loro corretto sviluppo fisico, mentale e morale hanno la precedenza su tutti gli altri diritti fondamentali» si legge nella disposizione. Il governo ungherese, infatti, considera il Pride un evento dannoso per i giovani, al pari della violenza sessuale e della pedofilia. Inoltre, nel 2021 era già stata emanata una legge per tutelare i minori sui temi sessuali: nello specifico non si poteva parlare di omosessualità e di cambio di genere in pubblico se presenti persone con meno di 18 anni.

Gli altri divieti

Seguendo la volontà di Orban, è stato vietato il riconoscimento delle identità di genere non binarie. Così il governo ungherese riconoscerebbe solo il genere maschile e femminile. L’emendamento prevede una stretta anche per i possibili dissidenti con la sospensione della cittadinanza ungherese per coloro che hanno una multipla cittadinanza. Persone viste come potenziali «traditori della nazione» e «minacce per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale in Ungheria» secondo il testo. Prevendo nel caso la loro espulsione dallo Stato. Una misura «senza precedenti» che mira a creare una «forma di esilio e di trattamento inumano» secondo alcuni giuristi. Tale decisione, inoltre, potrebbe colpire George Soros, imprenditore miliardario nato a Budapest, ma naturalizzato americano.

Il premier ungherese Viktor Orbàn
Le risposte dell’opposizione

Già prima della decisione ufficiale, le proteste sono iniziate a dilagare nel Paese. I manifestanti, fomentati dal partito di opposizione Momentum, si sono presentati davanti al Parlamento, bloccandone l’ingresso. «Proviamo a fare in modo che non ci mettano sulla strada di Putin» hanno scritto gli esponenti di Momentum nell’appello lanciato. E mentre in aula la deputata dell’opposizione Timea Szabo mostrava uno striscione di protesta, dall’esterno si sentivano le grida: «Non ci lasceremo trasformare nella “Russia di Putin”». Nonostante lo sforzo di Momentum nel bloccare i lavori, il testo ha ottenuto la maggioranza e di conseguenza è stato approvato.

Le Ong

Contrario al provvedimento anche la Ong per i diritti umani, il Comitato di Helsinki ungherese, che vede la decisione come un’escalation violenta per «sopprimere il dissenso, indebolire i diritti umani e rafforzare il suo potere». Ma soprattutto, il nuovo emendamento è visto dal Comitato come un mezzo per regolamentare la paura. E insieme ad altre Ong come Amnesty International, ha richiesto alla Commissione Europea di aprire una procedura contro il governo. Ma non è l’unica protesta. Di fronte alla repressione anti-Pride, ventidue ambasciate europee a Budapest hanno proposto e firmato una lettera di diffida contro il governo Orban.

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