Sono le ore 8 in punto di mercoledì 18 luglio quando sul tavolo di tutti i gruppi europei compare uno stesso documento. Una lista di elementi, stilata dalla candidata alla presidenza della Commissione Ursula von der Leyen, che compongono il suo programma politico per il prossimo quinquennio. La ‘maggioranza Ursula’, composta dalla solita Trinità democratici-popolari-liberali, ha un margine di 40 voti sulla maggioranza semplice che serve alla rielezione della tedesca. Ma nelle prossime 24 ore si giocheranno le partite decisive.
Il bivio tra destra e sinistra
Sono 401 i sì in Europarlamento che von der Leyen dovrebbe incassare dai suoi storici alleati, 361 quelli necessari perché per altri cinque anni il top job esecutivo dell’Unione Europea ricada nelle sue mani. Ma la differenza tra i due numeri non lascia tranquilla la 65enne. Già nel 2019, in una situazione politica forse paradossalmente più favorevole al moderatismo popolare, l’elezione era arrivata con un margine di soli 9 voti. Colpa di quei ‘franchi tiratori’, protagonisti mascherati sui media nell’ultimo mese e mezzo e che anche nel voto segreto del 18 luglio potranno avere un ruolo cruciale.
Il loro peso può essere però limitato fortemente da una semplice mossa politica: le alleanze. Più facile a dirsi che a farsi, visto che Ursula von der Leyen è chiusa tra due fuochi. Se si volta a destra – verso i Conservatori e Riformisti (Ecr) di Giorgia Meloni – starà dando la nuca e le spalle ai Verdi. E ovviamente vale il viceversa. Destra o sinistra, la sicurezza per la candidata popolare deve arrivare da una delle due parti: la coesistenza nell’appoggio alla sua presidenza è da escludere.
Le richieste meloniane
«È stata un’ora intensa, ma piacevole». Le parole di Ursula von der Leyen al termine dell’incontro di martedì 16 luglio con i vertici di Ecr fanno trasparire la situazione. Nessun accordo, neanche abbozzato, e sole 24 ore di tempo per trovare una quadra. I temi al centro del tira e molla sono sempre i soliti. In primo luogo l’immigrazione e il Green Deal, che la presidente uscente vuole «tecnologicamente neutro e pragmatico» e che Fratelli d’Italia pretende «salvaguardi la competitività delle imprese italiane».
In secondo luogo un nuovo peso alla destra italiana in Europa, dopo l’exploit delle europee di inizio giugno. Per la precisione Palazzo Chigi chiede forti garanzie per una partecipazione attiva all’esecutivo. A Giorgia Meloni basterebbe un portafoglio economico di peso per il fedelissimo Raffaele Fitto: che sia quello alla Concorrenza, al Mercato interno, agli Affari Economici o ai Bilanci. Cui si collega anche un tema ‘estivo’, quello della direttiva Bolkestein sulla liberalizzazione delle spiagge. Mentre la destra italiana da tempo fa muro sulla maggiore concorrenza delle concessioni litorali, da Bruxelles arriva una spinta a una maggiore apertura.
O noi o loro
C’è poi il capitolo Verdi. Il loro copresidente Bas Eickhout ha già confermato l’avvenuta negoziazione di alcuni punti importanti con Ursula von der Leyen. «Una maggioranza si va delineando» è il suo cauto ottimismo, consapevole che quello tra Verdi e Ecr è un aut aut: o noi o loro. Più probabile, però, che la politica tedesca tratti non per il 78 voti del gruppo europeo conservatore ma direttamente per i 24 di FdI. Anche perché in Ecr von der Leyen può contare già sull’appoggio della destra cieca (Ods) e fiamminga (N-Va). Espliciti sul ‘no’, invece, il Pis del polacco così come la destra romena e francese.
Giovedì 18 luglio alle 9 Ursula von der Leyen esporrà per la prima volta a voce il suo programma, solo un’ora dopo averlo fatto recapitare negli uffici dei vari schieramenti. Poi sarà la volta di un dibattito in aula e del voto, ma solo dopo 120 minuti di confronti interni ai partiti. Siamo al rush finale: il puzzle europeo sta per essere terminato. Franchi tiratori – e Giorgia Meloni – permettendo.