Kiev ha dato un primo segnale positivo al piano di pace americano per l’Ucraina, nominato “piano dei 19 punti” dopo che, a Ginevra, è stato “snellito” quello da 28 punti inizialmente proposto la scorsa estate durante l’incontro Trump-Putin ad Anchorage, in Alaska. Zelensky ha aperto alla discussione pur evidenziando alcuni nodi molto complicati, come la possibile cessione di territori rivendicati dalla Russia, la questione degli asset congelati, la ricostruzione economica e soprattutto il limite di 800 mila soldati imposto all’esercito ucraino, considerato da Kiev una condizione che potrebbe compromettere la propria sovranità.
Il presidente americano Trump, invece, pensa di essere molto vicino a un accordo, mentre a sparigliare le carte ci pensa la Russia: «Non sosterremo alcun piano che si discosti dalla versione originale concordata ad agosto ad Anchorage», ha già dichiarato il ministro degli Esteri russo Lavrov. Per questo, nonostante alcune aperture, a regnare resta ancora una grande cautela.
Dalle trattative di Ginevra al vertice di Abu Dhabi
A Ginevra, Stati Uniti e Ucraina hanno rivisto la versione iniziale del piano — giudicata troppo favorevole alla Russia — introducendo modifiche significative. Zelensky ha confermato che l’Ucraina è pronta a proseguire sul percorso tracciato da Washington, mentre Donald Trump si è detto fiducioso di essere «molto vicino a un accordo». Il tycoon ha nel frattempo incaricato il suo inviato speciale, Witkoff, di recarsi a Mosca per incontrare Putin e, in parallelo, il segretario dell’Esercito, Driscoll, di recarsi in Ucraina.
Subito dopo Ginevra, le delegazioni sono volate ad Abu Dhabi, dove si sono uniti anche i rappresentanti russi. I negoziatori ucraini — tra cui Rustem Umerov e Kyrylo Budanov — hanno lavorato sulla nuova bozza, da cui è nato il cosiddetto “patto Witkoff-Dmitriev”. Ma il ministro degli Esteri russo, Lavrov, ha criticato la revisione, affermando che il testo è lontano dalle “intese chiave” che Putin riteneva di aver raggiunto con Trump in Alaska. Mosca ha fatto sapere che «molti punti richiedono ulteriore discussione», lasciando intuire un orientamento più sbilanciato verso il no.
La posizione internazionale e gli sviluppi sul campo
Il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ritiene possibile che la guerra termini entro la fine del 2025, ma avverte che la Russia continuerà a rappresentare una minaccia strategica per l’Europa anche dopo un eventuale accordo. Intanto, Zelensky spera in un incontro diretto con Trump «prima della fine di novembre», benché per ora non sia previsto alcun vertice ufficiale. Sul campo, invece, la situazione resta delicata: nella notte un nuovo attacco russo su Zaporizhzhia ha causato 18 feriti e danneggiato sette edifici residenziali.
Territori e garanzie: i due nodi centrali del negoziato
La posizione dell’Ucraina è ormai chiara ma, militarmente, la Russia controlla oggi meno territorio rispetto a maggio 2022 e avrebbe perso oltre un milione di soldati. Sono condizioni che rendono difficile immaginare un conflitto prolungato per entrambe le parti.
E sono proprio due le questioni che restano cruciali nel negoziato, una per parte.
La prima riguarda l’insistenza russa sul controllo definitivo del Donbass, inclusi circa 5.000 chilometri quadrati che Mosca rivendica pur non avendoli conquistati militarmente.
La seconda è la richiesta dell’Ucraina di garanzie di sicurezza solide, che impediscano futuri attacchi russi. Kiev sembra valutare, dopo quattro anni di guerra, uno scambio che comprenda la fine delle ostilità e garanzie strutturali di sicurezza, ma ogni ipotesi di concessione territoriale rischia di scatenare una crisi politica interna.