Durante il primo anno di pandemia, gli Stati Uniti avrebbero condotto due intense campagne di disinformazione in Asia. In Medio Oriente e in Asia centrale, come test per misurare l’efficacia di operazioni di quel tipo. E nelle Filippine, per minare la crescente influenza di Pechino sul grande arcipelago del Pacifico. È quanto emerge da un’investigazione pubblicata da Reuters il 14 giugno. In entrambi i casi le psyops (operazione di guerra psicologica) hanno sfruttato contenuti del filone anti-vaccinista.
Una poltrona per due
Sin dall’elezione a presidente di Rodrigo Duterte nel 2016, le Filippine hanno iniziato a rinnegare il proprio storico allineamento con Washington per stabilire nuove partnership strategiche con Pechino. Fatto che, ovviamente, non è mai andato giù agli Stati Uniti, che proprio in quell’anno vedevano entrare nella Casa Bianca un anti-cinese come Donald Trump. A partire da quel momento il Pentagono si è interrogato su come riportare Manila nella sua sfera di influenza. Dopo anni di pianificazione e tentativi (il primo nel 2019 sui social media cinesi), la pandemia da Covid-19 ha fornito un «lampo di energia per la controffensiva», come riferito da un dirigente statunitense.
L’obiettivo, a quel punto, è diventato seminare il dubbio sulla sicurezza e l’efficacia di vaccini e altri aiuti forniti dalla Cina. Mentre gli Usa avevano permesso alle aziende farmaceutiche di vendere i loro prodotti senza calmierarne il prezzo, Pechino aveva optato per spese ridotte e programmi di assistenza aggiuntivi (fornitura di mascherine e altri dispositivi di protezione). Soprattutto verso i Paesi in via di sviluppo più in difficoltà, che quindi non avevano a disposizione grandi fondi da investire nella sanità.
Ed è proprio il caso delle Filippine. A dare fastidio agli Stati Uniti, oltre alla competizione economica, ci hanno pensato i servizi segreti del Dragone. Che già nel marzo 2020 avevano fatto circolare sui social false notizie sulla presunta origine del coronavirus da un laboratorio militare americano. La reazione americana non si è fatta attendere, rispettando il vecchio ‘occhio per occhio, dente per dente’.
Psy-op all’americana
Facendo leva su un ordine top secret firmato dall’allora Segretario alla Difesa Mark Esper nel 2019, nella primavera del 2020 il generale Jonathan Braga diede ordine di avviare una serie di psyop senza passare dal vaglio del Dipartimento di Stato. Uno scavalcamento di priorità reso possibile proprio dal documento del 2019, che equiparava la competizione con Mosca e Pechino a «operazioni di combattimento». E che in questo modo lasciava carta bianca ai militari per condurre qualsiasi tipo di azione psicologica ritenuta necessaria.
Nel giro di qualche mese furono creati almeno 300 account con migliaia di follower su X, che iniziano a ricondividere lo slogan #ChinaAngVirus (‘la Cina è il virus’ in lingua locale). Da lì iniziarono a emergere post che sostenevano l’origine cinese del Covid e suggerivano che per gli aiuti non ci si dovesse fidare di chi aveva creato la malattia. Non è chiaro quanto effetto abbiano avuto questi contenuti sulla popolazione filippina. Ma quando nel marzo 2021, dopo richieste insistenti da parte del presidente Duterte, il farmaco cinese Sinovac arrivò nell’arcipelago, pochissimi cittadini erano disposti a riceverlo. Al punto che tre mesi dopo (con solo 2,1 milioni di vaccinati su 114), Duterte si trovò costretto a minacciare di incarcerare chi non si fosse vaccinato.
Quando l’operazione americana si chiuse, nel giugno 2021, il successo era completo ed evidente. Tanto che alle successive elezioni presidenziali, tenutesi nel 2022, il governo di Manila è finito nelle mani filo-americane di Ferdinand Marcos Jr.
Assenza di scrupoli
L’operazione – condotta dal personale militare della base di Tampa, in Florida – sollevò non poche critiche dagli stessi americani. I diplomatici in servizio nel Sud-Est Asiatico sollevarono numerose obiezioni sull’impatto collaterale di questa guerra di propaganda. «Avremmo dovuto far arrivare più vaccini possibili nelle braccia della gente», ha dichiarato Greg Treverton, ex presidente del Consiglio nazionale di intelligence degli Stati Uniti. «Quello che ha fatto il Pentagono supera il limite».
Di questo però i ranghi militari erano ben consapevoli, come confermato da un alto ufficiale coinvolto nel programma: «Non stavamo valutando la cosa dal punto di vista della salute pubblica, stavamo pensando a come trascinare la Cina nel fango». A cui fa eco un altro ufficiale: «Non abbiamo fatto un buon lavoro nel condividere i vaccini con i partner. Quindi abbiamo gettato ombra su quelli di Pechino».
Linea lanciata dal presidente Donald Trump, ma sposata e confermata per lunghi mesi anche da Joe Biden dopo il suo arrivo nell’Oval Office nel gennaio 2021.
Il maiale nelle siringhe
Nello stesso periodo, un’operazione simile e parallela si stava svolgendo tra l’Asia centrale e il Medio Oriente. In questo caso, i militari di servizio a Tampa e gli specialisti della General Dynamics IT giocarono sulla forte identità islamica della regione. La suggestione più comune sui social era che nei vaccini cinesi fosse presente gelatina di maiale, animale i cui prodotti sono considerate haram dalla legge islamica ovvero proibiti. A differenza del caso filippino, però, qui le autorità aprirono alla possibilità di una eccezione alla norma religiosa con lo scopo unico di salvare vite umane.
Quasi in contemporanea gli account falsi impiegati dal Pentagono vennero individuati da Meta, la società proprietaria di Facebook. A cui Washington chiese di non cancellare i profili perché «utilizzati per l’anti-terrorismo». Zuckerberg acconsentì, salvo poi ritrattare davanti alla prosecuzione imperterrita della campagna anti-vax. A metà 2021, con Biden ormai presidente, Facebook convocò in riunione il Consiglio di sicurezza nazionale chiedendo l’immediata interruzione del programma. Cosa che, solo a quel punto, avvenne.
Cosa rimane oggi
Alla fine del 2021 iniziarono a circolare le prime informazioni sulle due psyops. Per quella data alcune parti dell’ordine top secret di Esper (quello che aveva permesso le attività nelle Filippine) vennero annullate. Chiedendo ai comandanti, da quel momento in poi, di lavorare a stretto contatto con i diplomatici statunitensi in servizio nei Paesi interessati. Niente più carta bianca. Non solo: un’indagine interna stabilì che diversi dei messaggi politici e sociali veicolati erano «molto lontani dagli obiettivi militari prefissati».
Ma se si pensa che questo abbia fermato le operazioni psicologiche di questo tipo, ci si sbaglia di grosso. Nel febbraio 2024, proprio la General Dynamic IT – già appaltatrice per le psyops in Medio Oriente – ha sottoscritto un contratto da quasi mezzo miliardo di dollari con Washington. Il motivo? «La disinformazione tramite i social media, le false narrazioni mascherate da notizie e simili attività sovversive servono a indebolire la fiducia della società, minando le fondamenta dei governi nemici».