
Il progetto di Donald Trump di trasformare la Striscia di Gaza in una nuova Mar-a-Lago (la residenza in Florida del Presidente americano) continua. Provocazione o folle progetto distopico, sarà solo il tempo a dirlo. Ormai decodificare le dichiarazioni del Tycoon è diventato troppo complesso.
Da Israele, intanto, dopo l’incontro di Trump con Netanyahu, arrivano aperture per il progetto. Il ministro della difesa dello Stato Ebraico, Israel Katz, ha annunciato di aver ordinato all’esercito di elaborare un piano per permettere ai gazawi di lasciare volontariamente la Striscia per poi lanciare una provocazione a Irlanda, Spagna, Canada e Norvegia : «Dovreste prenderli voi, altrimenti sareste ipocriti dopo i vostri comportamenti».
Le ultime dichiarazioni di The Donald
«La Striscia di Gaza sarà consegnata dagli Stati Uniti a Israele alla fine dei combattimenti. E i Palestinesi saranno già stati reinsediati in comunità bellissima, con case moderne, nella regione», ha scritto sul social Truth il Tycoon. Per poi aggiungere: «Non servirà nessun soldato americano!».
Israele e Stati Uniti hanno ritrovato la complicità che durante l’era Biden sembrava essersi incrinata. Alla Casa Bianca è arrivato qualcuno che parla la stessa lingua di Benjamin Netanyahu. Una vicinanza strategica ma anche personale, che è sfociata addirittura in regali. Donald Trump ha regalato al Premier israeliano una foto autografata con tanto di dedica: «A Bibi, un grande leader». Mentre il Netanyahu ha ricambiato con un cerca persone d’oro, in ricordo dell’operazione del Mossad che fece esplodere centinaia di beeper di Hezbollah.
Gli sviluppi sul piano per il futuro di Gaza sono, però, ancora nebulosi. Non serve certo il parere di un giudice della Corte dell’Aja (a cui il Tycoon ha iniziato a dichiarare guerra) per capire che il trasferimento forzato di centinaia di migliaia di palestinesi è una chiara violazione del diritto internazionale umanitario, un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità.

L’apertura di Israel Katz
Il Ministro della difesa Israel Katz ha dato pareri positivi sulla proposta e annunciato un futuro piano concreto per chi fosse disposto a emigrare. Senza sorprese, invece, il piano ha suscitato il giubilo dell’estrema destra dello Stato Ebraico che, per inciso, a lungo ha sostenuto una “emigrazione volontaria” da Gaza. Il piano coinvolgerebbe vie d’uscita via terra, via mare e via aria. Ma non ci sono garanzie sul ritorno a casa dopo la fine della guerra.

Subito dopo, la provocazione lanciata a Spagna, Irlanda, Norvegia e Canada, Stati tra i più critici nei confronti di Israele nell’ultimo anno: «Se non vogliono passare per ipocriti dovrebbero essere tra i primi ad accogliere i palestinesi».
Infatti, Egitto e Giordania, principali indicati da Trump come destinazione dei gazawi, non si sono mostrati entusiasti all’idea, giudicando il progetto come un fardello economico e una possibile polveriera terroristica.
Più di 100.000 persone hanno già lasciato l’enclave prima della chiusura del confine. E, già nelle prime settimane, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno cercato di spingere il Cairo ad accettare più profughi.
Restano solo speculazioni per ora, con sullo sfondo due milioni di palestinesi, la maggior parte sfollata. In attesa di sapere cosa riserverà loro il futuro.