Circa 60 mila haitiani residenti negli Stati Uniti dovranno fare le valigie e lasciare gli USA entro il 2019. Donald Trump ha annullato il programma di accoglienza che aveva permesso agli sfollati provenienti dal Paese caraibico dopo il terremoto del 2010 di risiedere legalmente negli Stati Uniti, con un ultimo rinnovo. Due anni per organizzare il rientro in patria, considerato sicuro dal dipartimento della Homeland Security.
Questa decisione dell’amministrazione americana è stata accolta con grande preoccupazione dalla comunità haitiana che sostiene che il paese non si sia ancora ripreso dal devastante terremoto del 2010 (150.000 morti) e che anzi, sia a tutt’oggi dipendente dal denaro che i suoi cittadini inviano a casa dall’estero. Attualmente sarebbe addirittura in corso un’epidemia di colera. Tra i beneficiari del programma c’erano tutti coloro che erano emigrati negli Stati Uniti entro un anno dal sisma. Si pone poi il problema per i figli di queste persone che, secondo la legge americana, sono a tutti gli effetti cittadini a stelle e strisce. I minori ora rischiano di essere abbandonati dai genitori, costretti a rientrare ad Haiti e per questo si sta cercando di trovare una soluzione che ne tuteli l’infanzia lasciando intatta la decisione della Homeland Security.
There is no reason to send 60,000 Haitians back to a country that cannot provide for them. This decision today by DHS is unconscionable. And I am strongly urging the administration to reconsider. Ultimately, we need a permanent legislative solution. https://t.co/Ft0bE0itf6
— Bill Nelson (@SenBillNelson) November 21, 2017
La sorte degli haitiani ha messo in allarme molte delle 320.000 persone che beneficiano del Temporary Protected Status program istituito da G. Bush nel 1990 e segue quella dei 2.500 rimpatriati dal Nicaragua che hanno subito lo stesso destino. La condizione di tutela che protegge i cittadini che scappano da paesi colpiti da conflitti armati o disastri naturali rischia di scadere anche per le 200.000 persone fuggite da El Salvador. L’esame del loro caso è previsto per il mese prossimo ma l’amministrazione Trump non è l’unica ad aver preso questo genere di decisioni. Anche Obama, nel 2016, aveva chiuso il programma per 3 Paesi dell’Africa occidentale che erano stati pesantemente colpiti dal virus dell’ebola negli anni precedenti.
Il New York Times ha riportato il commento di Dan Stein, direttore della Federazione per le riforme sull’immigrazione americana, una lobby che vuole una stretta sulle politiche migratorie verso gli Stati Uniti: «Questo programma non è una politica per l’immigrazione o per per i rifugiati, è nella sua essenza essere rinnovabile e temporalmente circoscritto». (MM)