Iwao Hakamada, il condannato a morte più anziano al mondo, è tornato in aula dopo quasi 60 anni dall’accusa di omicidio, a seguito della revisione del processo disposta dall’Alta Corte di Tokyo.
Il caso Hakamada
L’uomo, un ex pugile giapponese di 87 anni, era stato condannato nel 1966 all’impiccagione per quadruplo omicidio. Il 30 giugno di quell’anno scoppiò un incendio a casa del datore di lavoro di Hakamada. Spente le fiamme furono trovati i corpi del capo, di sua moglie e dei loro due figli, tutti pugnalati a morte. L’ex pugile divenne il principale indiziato. Dopo il lungo interrogatorio che si prolungò per un totale di 264 ore, l’uomo confessò per sfinimento.
Durante il processo ritrattò tutto e si dichiarò non colpevole. Il tribunale di Shizuoka rimproverò la polizia per le tecniche usate smentendo parte della confessione, ma poi lo condannò a morte nel 1968. Un successivo appello all’Alta Corte di Tokyo fu respinto e la Corte Suprema del Giappone confermò la pena nel 1980. Negli anni successivi la difesa smentì molte delle prove presentate contro Hakamada anche con l’aiuto del test del DNA. Dopo l’ultimo processo l’uomo ha trascorso più di mezzo secolo sotto condanna a morte.
Il nuovo processo
Nel 2014, con una delle decisioni più rare nella storia della pena di morte in Giappone, il tribunale di Shizuoka accolse la richiesta di un nuovo processo e ordinò la scarcerazione provvisoria di Hakamada. La pubblica accusa fece ricorso e nel 2018 ribaltò il verdetto. Visti i problemi mentali del condannato causati dalla prolungata detenzione solitaria, gli fu permesso di attendere la nuova sentenza in libertà. La Corte Suprema giapponese, alla fine del 2020, impedì che l’uomo venisse nuovamente processato. Il 13 marzo l’Alta Corte di Tokyo ha disposto la revisione del processo a carico di Hakamada.
“Giustizia per Hakamada”
Dopo la decisione della corte, all’uscita dal tribunale, gli avvocati della difesa sono stati accolti da un gruppo di sostenitori dell’ex pugile. Hideaki Nakagawa, direttore di Amnesty International Giappone, ha dichiarato: «Questa sentenza offre un’opportunità attesa da tempo per rendere giustizia a Iwao Hakamada, che ha trascorso più di mezzo secolo sotto condanna a morte nonostante la chiara iniquità del processo che lo ha condannato. La condanna era basata su una ‘confessione’ forzata e ci sono seri dubbi sulle altre prove usate contro di lui. Eppure, all’età di 87 anni, non gli è ancora stata data l’opportunità di impugnare il verdetto che lo ha tenuto sotto la costante minaccia della forca per gran parte della sua vita. Ora che l’Alta Corte di Tokyo ha riconosciuto il diritto di Hakamada al giusto processo, negatogli più di 50 anni fa, è imperativo che i pubblici ministeri permettano che ciò accada».
«Ciò significa che non devono presentare ricorso contro la sentenza odierna e prolungare il limbo in cui si trova Hakamada dalla sua “scarcerazione temporanea” avvenuta nove anni fa. Piuttosto, devono consentire che questo nuovo processo abbia luogo mentre Hakamada è ancora in grado di partecipare al procedimento».