
I bombardamenti «hanno completamente obliterato» le installazioni nucleari. «Il raid a Fordow ha messo fine alla guerra, come Hiroshima e Nagasaki». Il vertice Nato all’Aja è stato un «successo monumentale» per gli Stati Uniti. Queste sono alcune delle frasi pronunciate dal presidente americano Donald Trump negli ultimi giorni.
Al di là del contenuto, ciò che colpisce di queste dichiarazioni è il tono trionfalistico che le connota e la semplicità della loro formulazione. Il Tycoon, che non è nuovo a questo genere di retorica, ha dimostrato una volta di più quanto la scelta di un vocabolario iperbolizzante ma al tempo stesso accessibile sia funzionale ad accrescere l’impatto che il messaggio può avere sull’uditorio.
Questa tendenza alla facile esagerazione risulta perfettamente adeguata in un ecosistema mediatico caratterizzato dall’eccesso di informazioni. In un momento di forte “rumore comunicativo”, infatti, l’iperbole è un modo per farsi sentire e riconoscere.
La volgarizzazione della politica
In uno scenario in cui la comunicazione politica si basa sull’abilità di catalizzare l’attenzione, indignare e polarizzare, Trump ha messo a punto un discorso che infrange le convenzioni del linguaggio politico tradizionale. Lo stile del Tycoon è un indicatore dei profondi cambiamenti che hanno investito il modo in cui il potere viene esercitato e percepito nella nostra società.
Il registro retorico di Trump – molto colorito nelle espressioni e sensazionalistico nei contenuti – fa breccia su quella parte del Paese che non abita nelle grandi città, ma nella provincia profonda. È a quelle zone che il Tycoon deve la sua seconda vittoria alle presidenziali. Di fatto, la volgarità e la provocazione sono i principali strumenti per ampliare il consenso e consolidare una leadership.
La provocazione come arma retorica
La provocazione si sviluppa spesso in questo modo: prima, fa un’affermazione controversa, generando caos mediatico; poi, modera il messaggio e lo ricontestualizza, mantenendo viva l’attenzione del pubblica sul tema sollevato.
Questa tecnica permette a Trump di orientare il dibattito pubblico, trascinando media e avversari politici dove lui desidera. Si pensi alle dichiarazioni sui dazi: spesso risultano contradditorie, ma questa è una strategia volta sia ad alimentare la trattativa sia a tenere sempre alta l’attenzione sui media.
Verbo populista
Trump parla come la gente, ma con i trucchi di un affarista. Dice “Crooked Hillary“, “Sleepy Joe“, “Fake News“, frasi secche che funzionano come armi retoriche, sono facili da ricordare, da ripetere e da diffondere.
È un linguaggio progettato per essere efficace sui social media, per essere rilanciato, tagliato, remixato. Nei suoi comizi, Trump non costruisce discorsi strutturati, ma si affida a una serie di frasi icastiche che vivono di vita propria su X, Facebook o Truth Social.
La semplificazione estrema del linguaggio
Diversi studi hanno mostrato che Trump opta per frasi brevi, un vocabolario accessibile, ripetizioni strategiche. Si tratta di elementi che rendono il suo messaggio immediatamente comprensibile a un pubblico vastissimo. In particolare, è stato osservato che in media il Tycoon usa parole di cinque lettere e struttura frasi che raramente superano le quindici parole.
E questo per arrivare direttamente al suo pubblico, saltando la mediazione tradizionale dei media. Si pensi a “Make America Great Again”, “Build the Wall”, “America First“: sono slogan lapidari, facilmente memorizzabili e ripetibili che hanno permesso di creare un’identità comunicativa immediatamente riconducibile a Trump.