Domenica 19 novembre, Javier Milei è stato eletto nuovo presidente dell’Argentina. Autodefinitosi anarco-capitalista, ha sconfitto al ballottaggio l’attuale ministro dell’Economia Sergio Massa con oltre 11 punti di vantaggio. Milei si insedierà ufficialmente il 10 dicembre, nel quarantesimo anniversario dalla nascita della giovane democrazia argentina. In quello che dal Sud America definiscono «l’ascesa al potere più straordinaria dalla fine della dittatura».
La vittoria di Javier Milei
«Vi avevo detto che la vittoria in battaglia non sarebbe venuta dalla quantità di soldati, ma dalle forze che provengono dal cielo». Poi una pausa, drammatica. E per tre volte il grido «Viva la libertad, carajo!» (traducibile come ‘viva la libertà, dannazione!’). Con queste parole, quasi alle 11 di sera locali, Milei celebra la sua vittoria.
Un trionfo che molti si aspettavano, anche se il primo turno a ottobre aveva riaperto la speranza per i peronisti che il candidato Sergio Massa potesse spuntarla. Così non è stato. Il leader dell’alleanza di estrema destra La Libertad Avanza si è imposto con il 55,69% delle preferenze e in 21 province su 24. Sfiorando la conquista anche di Buenos Aires, roccaforte peronista. Nelle regioni dell’entroterra, è arrivato a toccare percentuali da plebiscito. Si pensi a Còrdoba, dove il futuro presidente argentino ha sfiorato quota 75%.
Lo sfidante Sergio Massa ha riconosciuto la sconfitta prima ancora che venissero resi pubblici i risultati ufficiali. «Mi sono già congratulato con Milei e gli ho augurato buona fortuna. Da domani la responsabilità di garantire il funzionamento sociale, politico ed economico del Paese è del presidente eletto». Si tratta della seconda sconfitta alle presidenziali per l’attuale ministro dell’Economia, ritenuto da molti il responsabile della più grande crisi della storia del Paese. Inevitabile, secondo l’analista Joaquin Morales Solà, la sua sconfitta. «Il capo di un’economia così distrutta poteva davvero diventare presidente della nazione?».
Il discorso della vittoria
Alle 21.55 ora locale, lo scrutinio recita un inappellabile 55,7% per il candidato di destra. Nell’Hotel Libertador, nel cuore della capitale, si presenta davanti alla stampa. «Buona notte a tutti i buoni argentini. Oggi comincia la ricostruzione dell’Argentina». In totale, 14 minuti di discorso. Prima ringrazia la sorella Karina, poi l’ex presidente conservatore Mauricio Macri per il sostegno.
«Oggi finisce il modello impoveritore dello Stato onnipresente, che beneficia solo pochi mentre la maggioranza soffre». Ma le promesse non finiscono qui: «Oggi finisce l’idea che lo Stato è un bottino da ripartire fra i politici e i loro amici. Torniamo ad abbracciare il modello della libertà per tornare ad essere una potenza mondiale». Poi aggiunge: «A tutti quelli che ci guardano dall’estero, dico che l’Argentina tornerà ad occupare il posto nel mondo che mai avrebbe dovuto perdere».
Lo sguardo, però, è già puntato al futuro. «La situazione del Paese è critica. Abbiamo bisogno di un cambiamento drastico. Non c’è più spazio per la timidezza, per le mezze misure. Se non avanziamo rapidamente verso una rivoluzione strutturale, ci aspetta la peggiore crisi della nostra storia». E la immancabile frecciata anti-kirchnerista: «Siamo davanti alla fine del modello di casta peronista. Libertà, libertà, libertà!».
Chi è Javier Milei, tra rock ‘n’ roll e Donald Trump
Figlio di un autista e di una casalinga. Economista di professione, ultraliberista, diventato celebre come polemista nei talk show televisivi. Con l’energia di un 53enne, l’irriverenza di un anti-sistema – quale si dichiara – e la stretta amicizia con Donald Trump e Jair Bolsonaro. Stile rockettaro, fidanzato con una nota attrice comica. Sempre accompagnato dalla sorella minore Karina, che lui chiama el jefe (‘il capo’) e che ne gestisce l’agenda politica. Vive con quattro mastini che portano il nome di economisti da lui ammirati: Milton Firedman, Murray Rothbard, Robert Lucas.
Ha calamitato su di sé il forte malcontento che permea il Paese con i suoi slogan e i suoi modi di fare ben al di fuori delle righe. «Tra la mafia e lo Stato, preferisco la mafia. Almeno ha un codice d’onore, non mente e compete sul mercato». O peggio: «Lo Stato è il pedofilo che gira nel giardino d’infanzia con i bambini incatenati e cosparsi di vaselina». Esagerazioni che da lontano fanno storcere il naso. Ma che, calate nell’attualità drammatica dell’Argentina, forse spiegano le folle di sostenitori. E poi i simboli: da Batman e Joker, alla testa di leone. Fino alla motosega con cui ai comizi prometteva di tagliare la spesa pubblica.
Uno sguardo al futuro argentino
È deputato solo da due anni, il che rende ancora più impressionante l’ascesa politica. Il partito alle sue spalle, Libertad Avanza, è più che altro un’organizzazione che si interfaccia costantemente con le masse. Occupa solo sette seggi su 72 al Senato e 38 su 257 al Congresso. Al popolo, promette un completo sconvolgimento economico. « Vengo da Liberland, una terra creata dal principio di appropriazione originaria dell’uomo… La mia missione è prendere a calci nel c**o i keynesiani e i collettivisti figli di pu**ana ».
Il programma è radicale. Dalla privatizzazione delle imprese pubbliche di proprietà statale, comprese scuole e ospedali, fino alla proposta – poi ritirata – di un libero mercato degli organi. Dal taglio netto della spesa pubblica (si veda la motosega). Fino alla riduzione drastica del numero dei Ministeri, da 18 a 8.
Non solo. È favorevole alla abolizione della Banca Centrale e della dollarizzazione. Le gigantografie della banconota con il suo viso stampato sopra ne sono effigie inconfondibile. Antiabortista convinto, ha accusato il Papa di essere ‘incarnazione del comunismo’ e sostiene che il cambiamento climatico faccia parte di una ‘agenda socialista’. Insieme alla sua vicepresidente Victoria Villuaruel, ha messo in dubbio la veridicità dei numeri riguardanti il dramma dei desaparecidos. Secondo loro non sarebbero 30mila, la stima generalmente accettata, ma molti meno. E comunque, solo «eccessi» che fanno parte di un periodo di guerra contro i comunisti.
La situazione economica in Argentina
Di certo, sale al soglio presidenziale in uno dei momenti più difficili della storia argentina. L’inflazione si avvicina al 140%. Il debito pubblico ammonta a 419 miliardi di dollari. La Banca Centrale continua a innalzare i tassi di interesse per scoraggiare la fuga verso il dollaro. Il peso, la moneta locale, si è svalutato del 97% negli ultimi anni. A inizio 2020 un dollaro equivaleva a 80 pesos, ora ne vale oltre mille. Due argentini su cinque vivono ormai al di sotto della soglia di povertà.
E i voti a Milei esprimono, secondo analisti politici argentini, il bisogno di cambiamento. «Non guardano alla sua ideologia», spiega Morales Solà. «Vedono che Milei è arrabbiato e che promette una rottura con il presente. Ma rimane un territorio molto nebuloso». Come ha rivelato al New York Times una agente immobiliare: «Non posso continuare a votare per la corruzione. Spero che Milei sia meno corrotto. Non che io pensi non lo sia affatto…».