Seggi aperti in Iran. A contendersi la presidenza della Repubblica Hassan Rohani e Ebrahim Raisi. Sono 56,4 milioni gli iraniani chiamati alle urne, di cui 1,3 milioni di giovani che vanno al voto per la prima volta.
I votanti si trovano a dover scegliere tra due candidati molto diversi. Da un lato c’è Rohani, presidente uscente dopo quattro anni di mandato, moderato, pragmatico, aperto verso l’Occidente e fautore di maggior libertà personali. Dall’altro Raisi, conservatore, tradizionalista, testimone della forte devozione alla fede islamica, tanto da volere una maggiore presenza della religione nella società e un rapporto più conflittuale con l’Occidente. “Non dobbiamo mostrare debolezza di fronte al nemico”, ha detto nel corso di un dibattito televisivo e ha accusato lo sfidante di aver dato troppa fiducia alla comunità internazionale. Raisi è sostenuto, anche se non ufficialmente, dalla guida spirituale, l’ayatollah Ali Khamenei, oggi tra i primi a recarsi alle urne, che ha rivolto un appello ai votanti affinché partecipino in massa al voto. Come in passato aveva già fatto Maḥmūd Aḥmadinežād, Raisi ha inoltre promesso che se vincerà darà un assegno a tutti i disoccupati. Dal canto suo, Rohani cerca un secondo mandato e la conferma della sua linea politica, che nel 2015 lo ha portato alla firma dell’accordo sul nucleare e alla conseguente revoca di una parte delle sanzioni.
Oggi alle urne si deciderà, dunque, il futuro di un Paese centrale per gli equilibri di tutta la regione, proprio nel giorno in cui Donald Trump vola a Riad, per rinsaldare i legami con l’Arabia Saudita, nemico storico di Teheran e dell’ayatollah.