Iran, 45 anni fa la Rivoluzione dell’ayatollah Khomeini

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Era l’11 febbraio del 1979 quando l’imam Ruhollah Khomeini assunse formalmente il potere a Teheran, mettendo fine alla monarchia della dinastia Pahlavi. Da allora, l’Iran ha cambiato totalmente faccia, divenendo una Repubblica islamica.

Come si è arrivati alla Rivoluzione del ’79

I primi segnali di una crisi nel Paese si ebbero all’inizio degli anni ’60. In questo periodo lo scià Mohammad Reza Pahlavi, sul trono iraniano dal 1941, stava mettendo in atto una serie di riforme di stampo occidentale e filoamericano. Con la cosiddetta «rivoluzione bianca», Teheran assecondava la politica di Washington di avversione al comunismo emergente in varie parti del globo.

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L’ultimo Scià di Persia Reza Pahlavi

L’alleanza con l’allora presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy, però, incontrò l’ostilità di larga parte dell’opinione pubblica. In particolare, intellettuali e religiosi furono i principali oppositori alla linea politica dello scià. Al malcontento si unirono presto studenti, nazionalisti e comunisti, che diedero vita a vere e proprie sollevazioni di piazza a partire dal maggio del 1977.

Oltre alle motivazioni ideologiche legate ai diversi gruppi, alimentarono le manifestazioni anche i numerosi fatti di corruzione della monarchia e la crisi economica in corso. Fu in questo clima di caos sociale che l’ayatollah Ruhollah Khomeini pose le basi per la Rivoluzione del febbraio del 1979.

Un governo teocratico

Dopo un esilio di 15 anni tra Bursa (Turchia), Najaf (Iraq) e Parigi, il 77enne imam originario della provincia di Khomeyn fece ritorno in Iran il primo febbraio del 1979. Fu allontanato dal Paese in quanto membro di una congiura ordita ai danni dello scià nel 1963 (faceva parte di un movimento religioso oltranzista). Khomeini rientrò poi in patria accolto da centinaia di connazionali esultanti.

Mesi prima del suo arrivo, si era fatto conoscere dagli iraniani grazie a delle audiocassette mandate dalla Francia, contenenti messaggi di opposizione al governo corrotto dei Pahlavi. Era così riuscito a intercettare l’insoddisfazione popolare tramite un’oculata opera di propaganda. E, una volta giunto a Teheran, aveva catalizzato la rabbia dei diversi gruppi in protesta per poi indirizzarla all’interno dei suoi binari, quelli della rivoluzione religiosa.

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L’imam Ruhollah Khomeini

Non gli fu difficile instaurare una Repubblica islamica nel Paese. Fuggito lo scià in Marocco tre settimane prima, Khomeini ebbe gioco facile nell’assumere le redini dello Stato, sfruttando l’azione dell’organo militare dei pasdaran. Nominatosi capo del consiglio rivoluzionario, l’ayatollah riformò l’assetto istituzionale iraniano. E diede così origine a due ordini di poteri, uno politico e uno religioso. Attribuendo a quest’ultimo una netta preminenza sul primo, e creando –  di fatto – un governo a trazione teocratica, avente al suo vertice Khomeini stesso nel ruolo di Guida suprema.

Nella morsa del regime

A distanza di 45 anni dalla Rivoluzione, l’Iran continua a vivere le conseguenze del dominio della religione sugli apparati statali. Propugnando la dottrina khomeinista del velayat-e faqih, secondo cui la Guida suprema possiede autorità tanto in ambito politico quanto in quello religioso, l’ayatollah Alì Khamenei porta avanti, dal giugno del 1989, il progetto del suo predecessore.

Ben due generazioni di iraniani sono stati coinvolti in questo processo di indebolimento delle istituzioni democratiche a favore di imposizioni di ispirazione islamica. E in più di un’occasione una parte della popolazione ha cercato di opporsi al giogo della shari’a. Negli ultimi anni, in particolare, in Iran migliaia di persone hanno manifestato contro le misure di oppressione ordinate dal regime nei confronti delle donne.

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Mahsa Amini, uccisa dalla polizia morale il 16 settembre 2022

Ad accendere la miccia fu la vicenda di Mahsa Amini, la ventiduenne deceduta il 16 settembre 2022 mentre si trovava sotto la custodia della polizia morale per «non aver indossato correttamente il velo». Da quel momento il Paese è piombato nel caos, con una preoccupante escalation di esecuzioni capitali ai danni dei dissidenti. Sono stati 314 nel 2021, 576 nel 2022, 823 nel 2023. Dal primo gennaio di quest’anno, invece, sono oltre 152  le vittime dello stato islamico.

Alessandro Dowlatshahi

Classe 1998, ho conseguito la Laurea Magistrale in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Milano, chiudendo il mio percorso accademico con un lavoro di ricerca tesi a Santiago del Cile. Le mie radici si dividono tra l’Iran e l’Italia; il tronco si sta elevando nella periferia meneghina; seguo con una penna in mano il diramarsi delle fronde, alla ricerca di tracce umane in giro per il mondo.

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