
C’è una parola in ebraico che definisce la condizione di un genitore che perde il proprio figlio: shakulim. Un termine che sottolinea la sensazione di privazione, dolore e vuoto, talmente inimmaginabile al punto che nessuna altra lingua ne ha un corrispettivo. È la parola che accomuna George Salines e Azdyne Amimour, rimasti “orfani” dei propri figli lo stesso giorno. Il 13 novembre 2015, durante l’attentato al Bataclan. C’è però una differenza fondamentale tra questi due uomini: George è il padre di Lola, vittima di 28 anni, Azdyne, invece, è il padre di Samy, uno dei tre attentatori che quel giorno hanno trucidato Lola e altre 89 persone, ucciso da un brigadiere mentre stava aprendo il fuoco su sei ostaggi.
Per quanto possa sembrare surreale, poco dopo quel tragico evento il destino di questi due uomini si è incrociato, dando inizio a un dialogo sul filo tra tolleranza e resilienza. Un libro che racconta la loro storia pubblicato nel 2020 in Francia, e tanti incontri in giro per il mondo per mostrare che il perdono esiste. Tra questi, quello tenutosi oggi – 13 maggio 2025 – all’Università Cattolica di Milano, presieduto da Claudia Mazzuccato, professoressa associata di diritto penale, e Camillo Regalia, professore ordinario di Psicologia sociale della Famiglia.
Un’amicizia unica
Dopo la morte di Lola, George sentiva di non voler più essere un personaggio passivo della storia che stava vivendo. Voleva diventarne protagonista, “l’eroe” che cerca di dare risposte e un senso a ciò che è accaduto. Ha fondato 13onze15: Fraternité et Verité – Association des victimes du 13NOV, che unisce i familiari e le vittime degli attentati di Parigi del 13 novembre. Un uomo che non fatichiamo a riconoscere come vittima e che ha avuto il coraggio di dare questo appellativo anche al padre dell’assassino di sua figlia. Era il febbraio del 2017 quando Azdyne prende coraggio e manda una mail a George presentandosi come “vittima di suo figlio”, chiedendo l’aiuto di un uomo che aveva trovato in sé una forza immensa. Così, insieme ad Aurélia Gilbert, sopravvissuta al Bataclan, i due si incontrano e danno vita a un’amicizia che va avanti da ormai dieci anni.
Azdyne, una vittima come le altre
Commerciante di origine algerine, Azdyne Amimour racconta «a 13 anni avevo già vissuto due guerre». Eppure, la sua vita e quella di suo figlio, Samy, non avevano questa passato difficile in comune. Nato a Parigi il 15 ottobre 1987, Samy viene cresciuto in una famiglia musulmano “occidentalizzata”. «Mia moglie – racconta Azdyne – dopo l’attentato si chiedeva perché un ragazzo che aveva ricevuto una buona istruzione, aveva viaggiato, avuto un infanzia felice, fosse arrivato a quel punto».
La radicalizzazione di Samy inizia nel 2012, quando inizia a adottare usi e costumi dei musulmani salafiti e a frequentare siti internet definiti di “radicalizzazione”. Poi decide di partire per la Siria. «Sono andato a cercarlo, a convincerlo di tornare a casa. Ma senza risultati» racconta Azdyne. Pochi anni dopo, nel 2015, suo figlio sarà il primo fra gli attentatori ad essere neutralizzato dalle forze di sicurezza francesi all’interno del Bataclan. I suoi resti saranno poi sepolti nella sezione musulmana del cimitero intercomunale di La Courneuve. Tuttavia, questo non ha fermato Azdyne nel tentare di salvare altri ragazzi come suo figlio. «In casa non abbiamo foto di Samy, la tristezza è troppa. Oggi, però, faccio visita ai ragazzi in carcere per evitare che facciano la stessa fine di mio figlio. La mia famiglia è stata vittima della sue azioni, per anni mia figlia non ha trovato lavoro per via del suo cognome».
George e Lola
Siede alla destra di Azdyne, George Salines. Medico e padre di Lola, editrice di libri per bambini, uccisa la sera del 13 novembre 2015. Lola, che nemmeno doveva essere al Bataclan, aveva ricevuto un biglietto da una sua amica in regalo. Lei tornerà a casa, mentre diciotto ore dopo l’attentato, la polizia annuncerà a George e la sua famiglia che Lola era fra le vittime. Da qui comincia la sua battaglia «non volevo che ciò che è accaduto quella sera venisse trasformato dalle persone in una scusa per odiare i musulmani». Per questa ragione fonda l’associazione 13onze15: Fraternité et Verité, e spiega: «La parola fraternità è sicuramente quella più difficile da rispettare e per questo anche la più importante».