In fondo all’oceano, dimenticate da tutti. Il destino di centinaia di migliaia di navi è lo stesso. Anche quello del galeone spagnolo San Josè. Almeno fino al 2015, quando la Marina colombiana ha scoperto il suo relitto al largo delle coste del Paese. Il dove è rimasto un segreto di Stato. La ragione? Il preziosissimo carico a bordo, che ha scatenato una serie di contenziosi ancora non risolti. Ma ora potrebbero essere arrivato il via libera per le operazioni di recupero.
Miliardi di motivi
Colombia, Spagna, gruppi autoctoni e Stati Uniti: una controversia internazionale a quattro voci. Tutti rivendicano i resti. Non per il legno ormai marcito, è ovvio. Ma per i tesori ancora custoditi sul San Josè, che si stima valgano fino a 17 miliardi di dollari. Oro e argento per 344 tonnellate, 116 scatole di smeraldi, oggetti in vetro o cuoio, porcellane. Madrid sostiene siano suo diritto essendo che faceva parte della sua flotta. La Colombia li rivendica per vicinanza, gli indigeni in quanto è probabile che i loro antenati fossero usati nelle miniere di pietre preziose. E gli Stati Uniti perché il profumo dei dollari – anzi dei dobloni – è troppo forte.
Già il governo di Bogotà aveva tentato di mettere all’asta parte del bottino per finanziare i colossali costi di ripescaggio. Gli alti tribunali colombiani e addirittura l’Unesco avevano bloccato tutto. Poi la retromarcia del Ministero della Cultura, che ha ufficializzato l’investimento di quasi 10 milioni di dollari per le prime fasi esplorative e ha assicurato che non venderà nessun manufatto.
La località precisa non è mai stata specificata per evitare spedizioni di sciacalli e saccheggiatori. Si pensa che il galeone sia stato affondato a circa 30 chilometri dalle coste di Cartagena de Indias, in Colombia. Un dato invece reso noto dalle autorità del Paese sudamericano è la profondità del fondale nel luogo del ritrovamento: 600 metri sotto il livello del mare. Insomma, un traguardo fisicamente impossibile da raggiungere per i sommozzatori. Per questo sarebbero in fase di sviluppo dei robot subacquei che avranno il compito di fotografare, filmare e mappare l’intero relitto prima di tentare il recupero. Che dovrebbe iniziare già ad aprile
La Storia dimenticata
Il Santo Graal dei naufragi, così è stata definita la San Josè, apparteneva alla flotta del tesoro di Filippo V di Spagna. Il 10 giugno 1708 affonda dopo un attacco da parte di quattro navi britanniche capitanate dal corsaro Charles Wager. Insieme al galeone, colano a picco la San Joaquin, la Santa Cruz e 14 altri mercantili. Nella cosiddetta ‘operazione Wager’ solo 11 persone sopravvissero contro i 578 deceduti.
Le dispute internazionali e i litigi non fanno altro, però, che allungare la situazione di stallo. E così bloccare la ricerca storia, che nei resti del galeone troverebbe una vera e propria miniera. «La San Josè è sempre stata vista come un semplice tesoro. Vogliamo voltare pagina e pensare a come accedere alle informazioni storiche e archeologiche del sito». Le parole di Alhena Caicedo, direttore dell’Istituto colombiano di antropologia e storia, inquadrano l’importanza del ritrovamento nell’ambito della ricerca. L’analisi dell’imbarcazione e dei manufatti fornirebbe informazioni cruciali riguardo all’impero spagnolo nel suo massimo splendore e alle tratte commerciali del diciottesimo secolo. Le difficoltà non sono poche. E ai contenziosi legali si aggiungono le condizioni climatiche (correnti, temperature, fauna e flora), che ai tropici non aiutano la conservazione dei materiali.
L’esempio più vicino di recupero – la Mary Rose – fu riportata a galla nel secolo scorso a largo di Portsmouth, sulla Manica. Dove il mare è decisamente più freddo rispetto ai Caraibi. «Non abbiamo idea di come reagiranno i resti a contatto con l’ossigeno. Non sappiamo nemmeno se saremo in grado di sollevare qualcosa dall’acqua», ha confessato Caicedo. Che poi ha chiosato: «Il denaro ha sempre guidato la storia del San José. Gli inglesi volevano catturarla per rubare denaro alla Spagna. Poi il denaro a bordo ha spinto la ricerca archeologica del relitto. Le controversie hanno ostacolato lo studio della nave. Sarebbe bello se per una volta non fosse il denaro a farla da padrone». Una visione forse troppo utopistica.