È morto ieri all’età di 96 anni l’ex Presidente cinese Jiang Zemin. Da tempo malato di leucemia, l’ultima apparizione in pubblico risale al 2019, in occasione del 70° anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese. Jiang rappresentava la memoria storica della Cina contemporanea, avendo vissuto – sia da comune cittadino sia da dirigente al vertice del Partito – gran parte delle vicende politiche e sociali che hanno contribuito a rendere il Paese il principale competitor degli Stati Uniti.
Una carriera nel Partito comunista
Nato nel 1926, Jiang comincia la sua attività politica nel 1946 con l’iscrizione al Partito comunista a Shanghai, città della quale diviene sindaco nella seconda metà degli anni ‘80. Nelle settimane successive al massacro di Piazza Tienanmen del 1989, ottiene l’incarico di Segretario generale del Partito comunista cinese. Nel 1993 raggiunge l’apice della sua carriera politica, conquistando la Presidenza della Repubblica popolare e diventando il primo alto dirigente a non aver combattuto nel corso della rivoluzione comunista di Mao Zedong.
La repressione del dissenso
Jiang si occupa anzitutto di stabilizzare il Paese, scosso dalle proteste interne e isolato dalla comunità internazionale. Le tensioni sociali vengono domate mantenendo la linea dura dei suoi predecessori, con la repressione di minoranze, oppositori e attivisti per i diritti umani. Basti pensare alla stretta contro le proteste in Tibet e all’arresto di numerosi membri del movimento spirituale Falun Gong.
L’apertura al capitalismo
Da Presidente della Cina Jiang mette in pratica la sua “Teoria delle tre rappresentanze”: il Partito deve rappresentare non solo la classe operaia, ma anche la borghesia e i ricchi imprenditori. Su questa visione economica Jiang apre la Repubblica popolare al mercato occidentale. Il nuovo approccio al capitalismo rende la Cina la prima potenza manifatturiera del mondo, con una crescita del PIL quasi sempre a doppia cifra durante gli anni della sua presidenza. La definitiva apertura all’Occidente si compie nel 2001, con l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio e con l’assegnazione a Pechino delle Olimpiadi del 2008.
Dopo il ritiro
Tra il 2002 e il 2004 Jiang lascia gli incarichi politici in favore di Hu jintao: si tratta della prima successione pacifica ai vertici del Paese. In ogni caso, continuerà a esercitare una forte influenza dietro le quinte, rimanendo a capo della cosiddetta “cricca di Shanghai”. Oltre a contribuire alla designazione dell’attuale leader Xi Jinping.
La Cina in lutto
In occasione della scomparsa di Jiang, i media cinesi si sono tinti di nero in segno di lutto. Questa mossa potrebbe essere interpretata come un tentativo di riunire il Paese, lacerato dalle proteste contro le restrizioni anti-Covid. Tuttavia, la morte dell’ex leader potrebbe ulteriormente intensificare le tensioni sociali. Infatti, come sostiene il Presidente del Council on Foreign Relations Richard N. Haass, «Jiang impersonava una Cina diversa, in patria e all’estero, e non mi sorprenderebbe se la sua morte diventasse un motivo di aggregazione in più per le attuali proteste contro il Covid».