Il nuovo ministro dell’Economia argentino, Luis Caputo, ha annunciato una svalutazione del 50% della moneta locale, il peso. Si tratta della prima drastica misura dell’era Javier Milei, che deve far fronte a una situazione economica vicina al collasso. Una decisione che è stata accolta dalle istituzioni internazionali con favore.
Il sogno proibito del dollaro
«Bisogna evitare la catastrofe dell’iper-inflazione». Caputo spiega così le scelte del nuovo governo, insediatosi il 9 dicembre in stile inauguration day statunitense. Una serie di politiche d’emergenza tra cui spicca il netto deprezzamento del peso. Secondo Agence France-Presse, negli ultimi giorni la moneta era arrivata a un cambio di 400 a 1 rispetto al dollaro americano. Rapporto che, a causa dei provvedimenti di Milei, è schizzato fino a 800 pesos per un dollaro.
Un legame, quello tra gli argentini e la valuta americana, che è stata al centro di tutta la campagna elettorale di El loco. La cui parola d’ordine – o almeno una delle più usate – è stata proprio ‘dollarizzazione’. Vale a dire quel fenomeno per cui gli abitanti di un Paese utilizzano la moneta emessa da uno Paese straniero in parallelo o in sostituzione della propria.
Una tendenza che, secondo lo stesso Milei, era già ben consolidata in Argentina. Ma che mancava di ufficializzazione, proprio ciò che il nuovo esecutivo ha in mente di fare. Scelta giustificata dalla ricerca di maggiore stabilità finanziaria e tassi di inflazione inferiori. Rimane da capire se si tratterà di una dollarizzazione semiufficiale, con l’istituzione di un sistema bi-monetario, o ufficiale, con la completa sostituzione del peso.
In ogni caso, la svalutazione della moneta argentina avrà un impatto negativo sul potere d’acquisto del popolo, che è già inferiore alla soglia della povertà. «Avrà ripercussioni forti e significative sull’inflazione», come spiega l’analista Nicolas Saldrias dell’Economist Intelligence Unit. Ma dal Fondo Monetario Internazionale la decisione è vista di buon occhio. «È un passo importante verso il ripristino della stabilità del paese», il commento della direttrice del Fmi Kristalina Georgieva. Sostegno forse giustificato anche dal fatto che l’Argentina sta ripagando un prestito da 44 miliardi di dollari, che la stessa istituzione internazionale aveva erogato nel 2018 nelle casse di Buenos Aires.
Verso una politica di austerity
Le misure del nuovo governo non si fermano qui. Lo aveva preannunciato lo stesso Javier Milei nel discorso di insediamento tenuto il 9 dicembre sulla scalinata del Congresso della capitale. No hay plata, non c’è denaro. E quindi? «Non c’è alternativa allo shock». Non solo l’accetta sui ministeri, passati da 18 a 9, e sulle direzioni generali, da 106 a 54. Sono stati annunciati dal ministro Caputo la liberalizzazione delle importazioni, la riduzione dei sussidi per i trasporti e per l’energia e lo stop al rinnovo dei contratti pubblici. Lo Stato, inoltre, annullerà tutti i progetti e i contratti pubblici per le infrastrutture, che passeranno in mano privata. Fino al taglio della pubblicità sui giornali, nel 2023 a bilancio per 34 milioni di pesos. L’unica misura di sostegno sociale prevista dal pacchetto di riforme è l’aumento del 100% dell’assegno universale sui figli e del 50% della tessera alimentare.
No hay plata è il ritornello più ripetuto da Milei e da Caputo. Da qui la decisione di svalutare la moneta per tentare una stabilizzazione emergenziale. «Per l’economia nel breve termine le cose peggioreranno, dovrò prendere tutte le decisioni che si renderanno necessarie», è la previsione del nuovo presidente. E la colpa è dei suoi predecessori – i peronisti – che gli avrebbero lasciato «la peggior eredità fiscale della storia». El loco ha previsto un periodo di stagflazione (inflazione e stagnazione economica), che impatterà negativamente sull’occupazione, sui salari reali e sul numero di poveri. Ma è solo «l’ultimo sorso amaro che l’Argentina dovrà bere». Poi la promessa: «Inizia una nuova era in Argentina, un’era di pace e prosperità, di crescita e sviluppo».