Un team di archeologi operante nel Sud America avrebbe rinvenuto una serie di città perdute nel bel mezzo dell’Amazzonia. Secondo le primissime stime – ancora da approfondire – duemila anni fa sarebbero state abitate da oltre 10mila persone. «L’archeologia cerca qualcosa che forse c’è stato, pur tra colpi di fortuna ed equivoci» scriveva Luciano Canfora. E in questo caso qualcosa c’è stato, come spiegato dagli stessi studiosi su Science.
La scoperta e il suo metodo
Tutto è iniziato dall’archeologo Stéphen Rostain. Oltre due decenni fa, nel bel mezzo della Valle di Upano in Ecuador, notò una serie di tumuli di terra e strade sepolte. «A quel tempo – ha spiegato Rostain – non ero sicuro di cosa fossero e di come i vari elementi si incastrassero tra loro». E la certezza l’ha avuta solo negli ultimi mesi grazie all’utilizzo di una tecnologia che sfrutta sensori laser.
Si tratta della cosiddetta lidar, che consente di penetrare la fitta copertura della foresta e visualizzare ciò che sotto è nascosto. Aerei appositamente equipaggiati irradiano impulsi laser e ne misurano il loro percorso di ritorno, rivelando caratteristiche topografiche altrimenti invisibili. Così si è passati a vedere una fitta e complessa rete di insediamenti e vie tutte interconnesse tra di loro ai piedi delle Ande. «È una vera e propria valle di città perdute, incredibile», il commento entusiasta di Rostain, che ha guidato le investigazioni.
La squadra di Rostain si era prima concentrata su due grandi insediamenti, Sangay e Kilamope. Lì ha trovato ammassi di terra organizzati attorno a piazze centrali, ceramiche decorate con vernice e grandi brocche contenenti i resti della tradizionale chicha di birra di mais. «Sapevo che avevano molte strutture», dice Rostain. «Ma non avevo una panoramica completa della regione». Con la tecnologia laser, il team ha identificato cinque grandi insediamenti e dieci più piccoli su una superficie di 300 chilometri quadrati.
Una civiltà avanzata
Gli insediamenti furono occupati dal popolo Upano tra il 500 a.C. e il 300-600 d.C., come hanno rivelato gli studi al radiocarbonio sui reperti raccolti negli scorsi anni. Un periodo che grossomodo ricalca quello del dominio di Roma tra Europa, Asia e Africa. È ancora difficile stimare l’entità della popolazione che occupava quelle zone. Ma l’archeologo Antoine Dorison, coautore dello studio, ha stimato che il sito al suo massimo splendore possa aver ospitato fino a 15.000-30.000 persone. Per intenderci, come la Londinium (oggi Londra) di epoca romana, che anche a quel tempo era la città più grande della Gran Bretagna.
«La densità abitativa era molto elevata e la società aveva raggiunto già ottimi livelli di complessità», ha affermato l’archeologo Michael Heckenberger dell’Università della Florida. «Per la regione, è una testimonianza molto precoce. Sta davvero in una categoria a sé stante». Gli edifici residenziali e cerimoniali eretti su più di 6.000 tumuli di terra erano circondati da campi agricoli dove le persone piantavano mais, manioca e patate dolci rinvenute negli scavi passati. Le strade più grandi erano larghe 10 metri e si estendevano anche 10 o 20 chilometri.
E per progettare – poi costruire – tutto ciò era necessario un elaborato sistema di lavoro organizzato. Come ha sottolineato José Iriarte, archeologo dell’Università di Exeter. «Gli Inca e i Maya costruivano con la pietra. Nel bel mezzo dell’Amazzonia però non avevano la pietra a disposizione. Per questo costruivano col fango».
E ulteriori recenti scoperte tra Bolivia e Brasile hanno smentito definitivamente un pregiudizio errato. Cioè che l’Amazzonia fosse «una zona selvaggia e incontaminata, con la presenza solo di piccoli gruppi di cacciatori e raccoglitori. Al contrario il passato è molto più complesso di così», è la sicurezza di Iriarte. Insomma, quella regione ospitava società grandi e complesse molto prima dell’arrivo dei colonizzatori europei. Come ha chiosato Rostain: «C’è sempre stata un’incredibile diversità di persone e insediamenti, non solo un modo di vivere. Stiamo solo imparando di più su di loro».