Mercoledì 28 febbraio, 32 gruppi editoriali europei hanno intentato una causa per 2,1 miliardi di euro contro Google. La posizione dominante della big tech di Alphabet nel mercato della pubblicità online, infatti, starebbe danneggiando economicamente gli editori. Fra questi spiccano il tedesco Axel Springer, proprietario di testate come Bild e Die Welt, e il norvegese Schibsted.
Minori ricavi per gli editori
Come affermano i loro legali, le società coinvolte sarebbero andate incontro a perdite finanziarie «a causa di un mercato meno competitivo, risultato diretto della condotta scorretta di Google».
Senza il dominio dell’azienda statunitense, i gruppi editoriali «avrebbero ottenuto ricavi significativamente più alti dalla pubblicità, pagando commissioni più basse per i servizi», proseguono gli avvocati. Maggiori introiti, infatti, permetterebbero maggiori investimenti per «rafforzare il panorama editoriale europeo».
Come funziona il digital advertising di Google?
Gli annunci che compaiono sui siti d’informazione sono finanziati dagli inserzionisti, aziende che vogliono pubblicizzare sé stesse o un prodotto in particolare. A essere pagato, però, non è soltanto l’editore proprietario del sito: gli spazi pubblicitari, infatti, non sono gestiti direttamente da Google, ma da piattaforme intermediarie che si occupano delle questioni tecniche e commerciali. E che, di conseguenza, trattengono una percentuale per il servizio offerto. Commissione su cui la compagnia hi-tech non permette contrattazioni.
Secondo queste piattaforme, la loro attività di intermediazione rappresenta un vantaggio per gli editori, che in questo modo possono disporre di più inserzionisti e, quindi, di un numero maggiore di annunci pubblicitari.
I precedenti
I 32 gruppi editoriali hanno intentato la causa in un tribunale olandese. Non a caso, la giurisdizione dei Paesi Bassi è stata già teatro di richieste di risarcimento per danni in materia di antitrust.
Organizzare un’unica iniziativa legale ha evitato a ogni società di presentarne una nel proprio Paese. Le nazioni coinvolte, infatti, sono numerose: Austria, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Germania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia e Ungheria.
I legali degli editori hanno anche citato alcuni precedenti giudiziari. Nel 2021, l’autorità per la concorrenza francese ha multato Google per 220 milioni di euro, portando l’azienda di Mountain View ad apportare dei cambiamenti al proprio business pubblicitario. Due anni dopo, anche la Commissione europea ha accusato la tech company di adottare pratiche anti-competitive.
Un’iniziativa «speculativa e opportunistica»
«Se la questione dovesse arrivare al vaglio dell’ente regolatore, Google potrebbe aver bisogno di limitare le sue pratiche e offrire tariffe più coerenti ai suoi clienti pubblicitari», spiega Gil Luria, analista della D.A. Davidson & Co.
Dal canto suo, la società statunitense ha respinto le accuse, definendo la causa «speculativa e opportunistica». «Google lavora in maniera costruttiva con gli editori in Europa», dichiara un portavoce, sottolineando che gli strumenti pubblicitari dell’azienda sono sempre stati sviluppati e aggiornati in collaborazione con gli stessi editori.