IL FASCINO DEGLI OGGETTI MAI VISTI, AL MUSEO NAZIONALE DELLA SCIENZA E DELLA TECNOLOGIA

Dal 24 luglio al 28 agosto, per la prima volta l’istituzione milanese apre i suoi depositi al pubblico, un patrimonio, quello delle Collezioni di Studio, ricco di strumenti di uso quotidiano che costituiscono la storia del Paese. Sarà così possibile ammirare pezzi mai esposti come la Vespa da Record, il biciclo di Lallement e il supercomputer Cray. Il direttore Fiorenzo Galli, che il 2 luglio 2021 ha festeggiato i suoi vent’anni alla guida del Museo, ci racconta come beni altrimenti dispersi, aiutino a comprendere che la ricerca scientifica e l’applicazione della tecnologia sono portatori della nostra identità e del progredire della società. Una visione, quella degli spazi espositivi di via San Vittore, in cui da sempre scienza è cultura.

Un’immagine della Vespa Piaggio da Record. Foto dell’Archivio Museo Nazionale Scienza e Tecnologia

Parliamo dal progetto Collezioni di Studio, di cosa si tratta?

Si tratta di studiare gli oggetti che non possono essere esposti ma che giacciono nei depositi e che poi vengono messi in mostra. Per questo si chiama Collezioni di Studio. È stato un lavoro enorme di ricerca, di classificazione e catalogazione. Siamo partiti nel 2001 ma soltanto nel 2006 abbiamo avuto l’inventario completo di quello che avevamo. Oggi abbiamo oltre 19mila pezzi e solo gli oggetti più significativi vengono esposti. Ci sono ancora degli strumenti scientifici che non sappiamo ancora a cosa servivano e che vengono chiamati “qualcosometri”. È un progetto vitale, in continuo divenire. Parliamo di tutti quegli oggetti che costituiscono la nostra storia e che possono testimoniare quello che siamo.

Collezioni di Studio, Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci. Foto di Elena Galimberti

In che cosa si differenzia la gestione di una collezione museale tecnico-scientifica come le Collezioni di Studio da una collezione d’arte antica o moderna?

Spesso si differenzia nelle dimensioni. Quando hai navi, sommergibili e locomotive è chiaro che non sono le farfalle del museo di storia naturale ma neanche opere d’arte di grandi dimensioni, e vale a dire capolavori assoluti con una dimensione assoluta. Noi desideriamo mettere in salvaguardia degli oggetti che non hanno un preziosissimo valore ma ne hanno un altro, più sotterraneo. E questo avviene in pratica con le Collezioni di Studio. Abbiamo, inoltre, degli oggetti che sono una vera rarità, come la tuta che i sovietici avevano preparato per sbarcare sulla luna, un cimelio unico esposto nella sezione dedicata allo spazio affianco al frammento di roccia lunare.

Prototipo di tuta sovietica per esplorazione lunare detta Krechet

Da Vent’anni è alla guida del Museo Nazionale Scienza e Tecnologia “Leonardo Da Vinci di Milano”, qual è la missione di questo museo e come si colloca all’interno dell’ampia offerta museale milanese?

Intanto è un museo internazionale, con una forte tradizione sul territorio. Il nostro fondatore Guido Ucelli era un industriale con un’importante base territoriale. La nostra visione è che scienza è cultura, dal mio punto di vista la cultura è l’organizzazione che le persone si danno per vivere meglio, nulla sfugge al fatto che la cultura dovrebbe abbracciare ogni ramo del sapere umano. Avere cognizione della propria identità significa guardare al futuro. Una parte importante di ogni Museo è raccogliere tutti quegli elementi che costituiscono la nostra storia; dare comprensione ai cittadini di come la ricerca scientifica e l’applicazione della tecnologia sono importanti nella vita delle persona ma anche nel nostro progredire antropologico, e tutto questo si declina nelle esposizioni e con le Collezioni di Studio e con i laboratori. Abbiamo poi all’interno del nostro museo un’ attività educativa fra le prime a livello europeo, come il centro di ricerca per l’educazione informale CREI, con relazioni internazionali e contatti a livello mondiale e ben 14 laboratori di cui tre saranno presto inaugurati appena le condizioni lo renderanno possibile. E poi, la cosa più importante: la costituzione di un capitale umano di qualità.

Modelli Matematici. Foto dell’Archivio Museo Nazionale Scienza e Tecnologia

Il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia può apparire come un’istituzione che propone un linguaggio per gli appassionati delle discipline STEM. Cosa ha fatto per rendere questo museo appetibile per il grande pubblico?

Questo è un luogo dove le persone vengono per trovare risposte a domande di senso antropologico. Una di queste è avere comprensione della figura di Leonardo da Vinci: le gallerie di Leonardo che abbiamo inaugurato proprio all’inizio della pandemia rivelano un uomo del suo tempo che ci ha lasciato riflessioni, pensieri e arte che comunicano fra loro. Lo abbiamo raccontato anche nella mostra tenutasi alle Scuderia del Quirinale nel 2019 inaugurata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Negli ultimi anni della sua vita Leonardo inizia a raccogliere tutte le esperienze passate valuta che siano delle leggi universali. Per noi è banale, ma in quegli anni lo era tutt’altro. È il Leonardo che comincia a pensare in termini scientifici. Abbiamo raccontato un Leonardo uomo di scienza prima della scienza.

Sala Sogno del Volo, Nuove Gallerie Leonardo. Foto di Lorenza Daverio

Quale incontro l’ha particolarmente emozionata durante la sua lunga direzione ventennale?

Anni fa durante una mostra fotografica ho incontrato un signore che si chiamava Kengiro Azuma, scultore. Non lo conoscevo, poi siamo diventati amici. Lui è venuto a Milano nel 1956 non è più andato via. Prima di essere un artista era un Kamikaze. È ancora vivo perché la guerra è finita. Tornato a casa ha avuto un grande esaurimento nervoso. L’arte ha dato un senso alla sua vita. Si è innamorato esteticamente e culturalmente di Marino Marini, è venuto a Brera dove Marino Marini insegnava. Il maestro, dal canto suo, apprezzava moltissimo questo ragazzo giapponese che stava zitto e lavorava. Un giorno Marini gli ha affidato le chiavi del suo studio. Alla fine Azuma è diventato suo allievo. Azuma mi ha raccontato che Marini gli diceva di cercare le radici del suo spirito. Azuma andava fuori al mattino presto per raccogliere le cassette della frutta per metterle nella stufa, così una volta questa pila di asticelle di legno di faggio è caduta e ha disegnato per terra una cosa meravigliosa, che la sua sensibilità di artista ha raccolto facendo un calco in gesso. Inizia così la serie infinita di opere intitolate MU e YU, che in Giapponese vuol dire vuoto e pieno, perché lo spirito del mondo Zen significa essere vuoti per accogliere idee, esperienze o qualsiasi altra cosa. Il vero valore del bicchiere non è il materiale di cui è costruito ma il suo essere vuoto. La possibilità di riempirlo. In tutte le opere di Azuma ci sono delle cavità perché “la forma è vuoto e il vuoto è forma. Quando gli ho chiesto il perché, lui ha dato una risposta che assomiglia a quello che facciamo e a quello che siamo: «Io dei beni materiali della mia famiglia non ho nulla, però ho lo spirito della mia famiglia». Lui custodisce i valori immateriali. Quello di materiale che viviamo nella vita deriva dalla immaterialità di quello che siamo. Azuma mi ha spiegato una cosa che è una delle ragioni profonde del mio ruolo di divulgatore, lo spirito di base di quello che è il mio mestiere.

Fiorenzo Galli, Direttore Generale Museo Nazionale Scienza e Tecnologia. Foto di Elena Galimberti

 

Rino Terracciano

giornalista praticante e curatore d'arte. Scrive per Masterx-IULM. Ha lavorato e collaborato con Accademie e Istituzioni museali come Académie de France à Rome, Accademia di Francia in Roma, Villa Medici; Museo Bilotti - Aranciera di Villa Borghese, Museo Archivio Laboratorio per le Arti Contemporanee Hermann Nitsch, Napoli.

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