«Concreta ed attuale» così viene definita la minaccia del terrorismo jihadista in Italia. A rivelarlo la relazione annuale dell’intelligence presentata oggi a Palazzo Chigi, che sottolinea come sia cresciuta la «domanda di sicurezza».
«Il 2017 ha segnato il ridimensionamento territoriale del Califfato, che però potrebbe essere ancora in grado di colpire l’Occidente, in particolare l’Europa, con attacchi complessi ad opera di cellule ben addestrate» dichiara Alessandro Pansa, Direttore generale del Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza). «Quale effetto delle perdite subite nella roccaforte siro-irachena, l’Isis ha potenziato la propria azione di propaganda a sostegno del jihad individuale. Questi appelli hanno provocato numerose iniziative da parte di soggetti radicalizzati o comunque esposti a processi di radicalizzazione» aggiunge. I processi di radicalizzazione, oltre che sul web, avvengono in circuiti familiari di difficile penetrazione, in centri di aggregazione e nelle carceri, «fertile terreno di coltura per il virus jihadista, diffuso da estremisti in stato di detenzione».
La relazione cita poi due casi emblematici del potere convincente della propaganda, «in grado di innescare derive violente in persone apparentemente integrate, ma in realtà preda di instabilità emotiva e dissociazione identitaria o religiosa»: l’italo-marocchino membro del commando artefice degli attacchi di Londra del 3 giugno e l’italo-tunisino che, il 18 maggio, a Milano, ha aggredito un poliziotto nella stazione centrale. Attenzione particolare viene riservata al fenomeno dei foreign fighters. La stima rivela che sono 129 i combattenti che hanno avuto a che fare con l’Italia, anche se nel 2017 non si sono registrate nuove partenze dal territorio nazionale verso i teatri di guerra.
A pochi giorni dalle elezioni del 4 marzo, i servizi segreti ricordano: «Occhio alle campagne di influenza che, prendendo avvio con la diffusione online di informazioni trafugate mediante attacchi cyber, mirano a condizionare l’orientamento ed il sentimento delle opinioni pubbliche. In particolare quando queste ultime sono chiamate alle urne». Si tratta di una «minaccia ibrida» e prevede un aumento di questo tipo di rischi, «specie in prossimità di passaggi cruciali per i sistemi democratici». (cs)