Polemica alla Biennale: raccolte 15mila firme per escludere Israele

Biennale_Venezia

Il conflitto in Medio Oriente entra nuovamente a gamba tesa nel mondo culturale. Dopo il Lucca Comics, Sanremo e l’Eurovision è il turno della Biennale di Venezia. Quasi quindicimila  artisti hanno firmato una petizione per escludere Israele dalla manifestazione, che inizierà il prossimo 20 aprile.

Nel frattempo, continuano gli sforzi di Joe Biden per ottenere una tregua entro il Ramadan. Impegnato in una campagna elettorale all’ultimo colpo, il presidente americano continua a spingere per un cessate il fuoco in Medioriente, anche mentre mangia il gelato.

La polemica alla Biennale

L’arte dovrebbe essere un punto di incontro. Un ponte che collega mondi apparentemente distanti e non un muro che divide. Doveroso usare il condizionale, perché per circa quindicimila tra artisti, professori, studenti e curatori di mostre non è così.

Art Not Genocide Alliance (ANGA) ha richiesto l’esclusione di Israele dalla Biennale d’Arte di Venezia, arrivata alla sessantesima edizione. Nella petizione si legge che «qualsiasi rappresentazione ufficiale di Israele sulla scena culturale internazionale sia una legittimazione delle sue politiche genocide a Gaza».

L’associazione rivendica lo stesso modus operandi utilizzato per la Russia nel 2022, quando in seguito all’invasione  dell’Ucraina, la Biennale appoggiò Kiev. La conseguenza fu che sia il padiglione ucraino che quello russo rimasero chiusi. Il primo per ovvi motivi pratici. Il secondo perché il curatore Raimundas Malasauskas si dimise insieme agli artisti russi coinvolti. ANGA ha scavato addirittura più in profondità, arrivando a citare l’esclusione prolungata del Sud Africa dal 1968 al 1993 per il regime di Apartheid.

La risposta all’associazione è arrivata dal Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, che ha reputato «inaccettabile e vergognoso il diktat di chi ritiene di essere depositario della verità» e sostenuto che «Israele non solo ha il diritto di esprimere la sua arte. Ma ha anche il dovere di dare testimonianza al suo popolo in un momento come questo in cui è stato duramente colpito a freddo da terroristi senza pietà».

Il Padiglione Israele e il Palestine Museum

Dal canto suo, la Biennale, presieduta da Pietrangelo Buttafuoco, non ha preso una posizione ufficiale, ma non sembra minimamente intenzionata ad acconsentire alle richieste.

Dunque, il Padiglione Israele  sarà allestito come da programma. Il progetto è a cura di Mira Lapidot e Tamar Margalit e rappresentato dall’artista visiva Ruth Patir, che realizza contenuti multimediali che fondono archeologia e tecnologia.

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Padiglione Israele alla Biennale d’Arte di Venezia.

I tre rappresentanti israeliani hanno più volte dichiarato di essere preoccupati «per la crescente crisi umanitaria a Gaza», ma che sono convinti che «debba esserci uno spazio per l’arte, per la libera espressione e creazione, in mezzo a tutto ciò che sta accadendo».

Situazione diversa quella che riguarda la presenza palestinese alla Biennale. L’Italia non riconosce Ramallah come Stato sovrano e, dunque, non è possibile avere un padiglione apposito. Nel 2022, la Biennale incluse la mostra del Palestine Museum, tra i firmatari ANGA,   come mostra collaterale. Quest’anno invece, la mostra sarà  presente a Venezia come mostra esterna a Palazzo Mora, dal nome Foreigners in their Homeland, incentrata sulle condizioni dei cittadini palestinesi.

Il discusso appoggio degli Stati Uniti a Israele, tra hijab e coni gelato

Non solo Italia. Dal principale alleato di Israele, gli Stati Uniti, arriva l’auspicio di un cessate il fuoco «entro la fine del weekend». È quello che ha dichiarato il Presidente Joe Biden, raggiunto dai giornalisti nel corso di un evento elettorale a New York. Ma per quanto il messaggio volesse apparire ottimista, il Presidente ha ricevuto critiche per come ha parlato della drammatica situazione in Israele. Biden ha infatti risposto alla domanda mentre mangiava un gelato in compagnia del comico Seth Meyers.  Con Meyers, conduttore di un popolarissimo show di seconda serata, il Late Night, il Presidente aveva girato una puntata poco prima del passaggio in gelateria.

Restando in tema di primarie, le più recenti chiamate alle urne hanno mostrato come l’appoggio a Israele non sia condiviso dall’elettorato democratico nella sua interezza. Nello Stato del Michigan, dove era l’unico candidato di peso, Biden ha vinto agilmente le primarie del suo partito. Ma non sempre il successo di voti rappresenta una vittoria a tutto tondo. Il Michigan, infatti, è uno Stato con una significativa comunità di origine araba (e, in parte, musulmana). Comunità che attualmente non gradisce la politica estera degli Stati Uniti, a parer suo troppo filoisraeliana.

Questa opposizione interna al Partito Democratico ha condotto molti leader di comunità arabe locali ad appellarsi agli elettori. La loro indicazione è quella di votare uncommitted, una sorta di “scheda bianca” che permette di dare la preferenza al partito senza darla al candidato. Il 16% dei voti ricevuti dai democratici in Michigan ha avuto questa caratteristica, un messaggio di chiara disapprovazione nei confronti del Presidente in carica.

Il presidente americano Joe Biden e il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Il presidente americano Joe Biden e il premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Dalla Casa Bianca nessun commento a riguardo, solo un generico ringraziamento agli elettori per la vittoria nello Stato. I leader del movimento hanno invece continuato a protestare manifestando le loro priorità. Lexis Zeidan, una degli attivisti della campagna Listen to Michigan ha tuonato: «Il messaggio a Biden è che i democratici del Michigan non sono impegnati per la sua rielezione». E ha proseguito: «È un avvertimento, è una minaccia a Biden e alla sua amministrazione per la sua decisione di mettere i finanziamenti a Israele e alla sua guerra al di sopra della nostra stessa democrazia». Parole decise, che mostrano l’incrinatura tra il Partito democratico e il suo candidato di punta.

Ettore Saladini

Laureato in Relazioni Internazionali e Sicurezza alla LUISS di Roma con un semestre in Israele alla Reichman University (Tel Aviv). Mi interesso di politica internazionale, terrorismo, politica interna e cultura. Nel mio Gotha ci sono gli Strokes, Calcutta, Martin Eden, Tondelli, Moshe Dayan, Jung e Wes Anderson. In futuro mi vedo come giornalista televisivo.

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