I nuovi trend dell’emigrazione: non si parte più solo dai confini

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Una ricerca del Sole 24 Ore restituisce una nuova fotografia dei movimenti migratori verso l’estero. Nell’ultimo triennio quasi mezzo milione di italiani ha lasciato il Paese. Le destinazioni sono spesso altri Paesi europei, mentre c’è più varietà nelle province di partenza. Se non stupisce vedere come i capoluoghi al confine, in Liguria, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia-Giulia, rimangano dei facili accessi all’estero, è invece più inaspettato trovare in classifica province più “interne”, localizzate al Centro-Nord come Mantova, Siena e Macerata.

Un popolo di emigranti

La storia italiana, specialmente nel XX secolo, è anche una storia di emigrazione. Tanti gli italiani che nei primi decenni del Novecento hanno lasciato patria e famiglie per cercare fortuna all’estero, in Europa, Stati Uniti o America Latina, spesso inviando le famose “rimesse” ai parenti rimasti a casa. Tanti anche quelli che verso la fine del secolo hanno pensato di trasferirsi oltreconfine, portando con sé competenze, talenti e investimenti, in quella che dagli anni Novanta in poi abbiamo imparato a chiamare “fuga di cervelli”.

Storicamente, questi fenomeni di migrazione verso l’estero hanno avuto delle precise zone di partenza: il Nord-Est, particolarmente il Veneto, e il Sud. Si trattava di regioni mediamente più povere e meno urbanizzate, incapaci di trattenere il capitale umano con l’offerta di prospettive di vita migliori di quelle delle generazioni precedenti. Valicare il confine era poi facile anche per chi lo vedeva tutti i giorni: per molti trentini, friulani e liguri, il passo da frontalieri a espatriati è stato breve.

Le novità del triennio 2022-2024

Come anticipato, la classifica delle province con più emigrati all’estero vede in vetta territori di confine. Nei tre anni considerati, Bolzano è prima con 18,4 emigrati ogni 1000 abitanti. Seguono Imperia, seconda con 13,5, mentre Trieste è quarta con 13 emigrati ogni migliaio di abitanti. La medaglia di bronzo la vince Treviso, non un capoluogo di confine, ma la più rappresentativa di una regione tradizionalmente portata all’emigrazione.

Sebbene non spicchino particolari province (dopo Treviso, Vicenza, al 19esimo posto, è l’unica tra le prime 30), le partenze dal Veneto sono ancora un fenomeno diffuso. In generale il Nord-Est è infatti la zona con il più alto tasso di partenze, stimate in 10,1 ogni 1000 abitanti. Ovvero 154.467 persone che negli ultimi tre anni hanno lasciato queste regioni, quasi un terzo dei 499.594 emigrati totali.

La prima sorpresa arriva in quinta posizione: lontana dal confine e situata nella regione più ricca d’Italia, Mantova (12,7 emigrati per 1000 abitanti) non dovrebbe essere una città da cui fuggire. Una seconda sorpresa è data dalla parziale assenza di città del Mezzogiorno, luogo di emigrazione per eccellenza nell’immaginario comune. Fatta eccezione per Campobasso, in settima posizione con 11,9, nessuna provincia meridionale entra tra le prime venti. Almeno in questo caso è possibile trovare una spiegazione. Il Sud è maggiormente interessato da un fenomeno di migrazione interna: chi lascia regioni come Sicilia, Puglia e Calabria preferisce le grandi città del Nord (Milano e Torino su tutte) alle mete estere. Paradossalmente, le città del Meridione occupano l’altro estremo della classifica: Taranto, con 4,4 emigranti ogni 100 abitanti, è la città meno abbandonata d’Italia (almeno da quelli che si trasferiscono all’estero).

Le conseguenze demografiche

Questi fenomeni migratori hanno pesanti conseguenze, spesso diverse a seconda delle regioni interessate. In generale, l’Italia soffre di un ben noto problema di denatalità, che le fughe verso l’estero non fanno che aggravare. Se nel Sud questa è un’ulteriore causa di spopolamento, alcune province del Nord riescono a compensare. Bolzano, per esempio, oltre ad essere la prima provincia italiana per tasso di fecondità, gode di un flusso contrario di immigrazione. In modo simile, altre città del Nord beneficiano della già citata migrazione interna, anche se nei casi delle città più piccole questo non basta per mantenere in crescita la popolazione.

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Istat rivela che nel decennio 2013-2022 un terzo degli espatriati aveva tra i 25 e i 34 anni.
Motivi e destinazioni dell’emigrazione

Lasciare l’Italia non significa quasi mai lasciare l’Europa. Nel biennio 2022-23, il continente ha accolto il 75,7% dei nostri espatri, in larga maggioranza stabilitisi in Regno Unito, Francia, Svizzera, Germania e Spagna, che hanno recepito il 55% del totale.

Come sempre accade, a lasciare il Paese sono prevalentemente i giovani. A motivare le partenze sono questioni economiche: c’è chi espatria alla ricerca di lavori meglio retribuiti e chi fugge da un costo della vita troppo elevato. In provincia di Bolzano, riporta il Sole 24 Ore, «l’aumento del prezzo delle abitazioni e affitti alle stelle hanno convinto molte giovani coppie a prendere casa in Austria, pur mantenendo il lavoro in Alto Adige».

Oltre al danno, dunque, la beffa. A partire sono quelli che potrebbero maggiormente spingere l’economia con i loro consumi, gli stessi che potrebbero combattere l’inverno demografico con nuove nascite. Decine di bambini che potrebbero affollare le nostre scuole e diventare un giorno contribuenti e produttori di ricchezza sono invece destinati a non rimettere più piede stabilmente in Italia. Questa «ferita migratoria» è una piaga sociale: «Dall’Italia si parte e non si riesce a tornare – spiega Delfina Licata, sociologa delle migrazioni – e quando lo si fa, si è costretti alla ripartenza». «Il Belpaese è chiamato a lavorare per tornare ad attirare chi parte, cercando di valorizzarlo nella sua storia migratoria e concedendogli di esprimersi rispetto a quanto imparato nel confronto con culture altre».

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