Giacomo Poretti: «La nostra ironia è sempre stata affettuosa, mai cattiva»

Giacomo Poretti è più conosciuto se associato ad altri due nomi: Aldo Baglio e Giovanni Storti. Quasi tutti gli italiani conoscono l’ordine corretto: Aldo, Giovanni e Giacomo. Il comico era presente alla Civil Week, l’evento organizzato dal Corriere della Sera al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano dal 4 al 7 maggio.

Parlando del “Prendersi cura“, l’argomento all’ordine del giorno, Giacomo ha detto: «Anche se uno non lo fa volontariamente si prende per forza cura degli altri. L’ho capito a 18 anni, quando facevo le pulizie all’ospedale». Inizia così lo sketch dell’attore milanese, tra interventi esilaranti su pappagalli e muratori bergamaschi, ma anche momenti di riflessione sulla solidarietà.

Giacomo ha risposto ad alcune nostre domande. E, anche in questo caso, non è mancata l’ironia.

Giacomo Poretti sul palco della Civil Week
L’intervista

Ci racconti un aneddoto degli albori della sua carriera
Ce ne sarebbero a migliaia di storie curiose riferite all’inizio della carriera. Mi viene in mente che quando andavamo in giro a fare gli spettacoli in tre non avevamo una lira. Andavamo negli alberghi, chiedevamo sempre la camera tripla, ma c’era la doppia. Casomai aggiungono il lettino per il bambino. Ed era così anche allora. Chiedevi la camera tripla e ti davano la camera doppia con un lettino aggiuntivo. E quindi c’era sempre la lotta, quasi una lotta fisica, a non dormire nel lettino singolo o a seconda. È uno dei ricordi più divertenti di inizio carriera.

Qual è il film che ha fatto e che le è rimasto nel cuore?
Forse i primi. Tre uomini e una gamba fu un’avventura anche produttiva, intanto perché nessuno sperava di fare un film, e poi di riuscire a portarlo a termine. Chiedimi se sono felice, perché fu secondo me un’opera di maturità sia comica che drammaturgica. E poi la nostra straordinaria avventura negli Stati Uniti, quando abbiamo fatto La leggenda di Al, John e Jack. Lì siamo stati un mese a New York, con delle difficoltà che non sto a dire.


E quale luogo ha visitato, mentre girava un film, che le è rimasto nel cuore?
Per fare La Leggenda di Al, John e Jack abbiamo visto delle zone di New York che non avevo mai visitato, come il Queens e Brooklyn. L’opportunità di girare questo film ci ha permesso di vedere luoghi che altrimenti come turista non avrei mai visto.

Sarebbe possibile al giorno d’oggi girare questi film, o verrebbero schiacciati dal politicamente corretto?
Penso che un film come La leggenda di Al, John e Jack sarebbe censuratissimo. Non tanto dalla censura, quanto dal politicamente corretto, una mentalità secondo me assurda. È evidente che i tempi cambiano e che certi tipi di atteggiamenti adesso sono esecrabili, no? Però credo che noi tre in particolare abbiamo sempre fatto dell’ironia affettuosa ma mai cattiva. Non siamo mai stati cinici, io poi odio il cinismo.

Come funziona il vostro processo creativo?
Il metodo è sempre stato lo stesso. Per mesi e mesi, ci troviamo insieme. A volte passiamo giornate intere senza che esca nulla, a cazzeggiare. Ma in realtà è molto utile stare vicini, parlare di politica, di sport, di musica. Serve per creare un contatto. E poi? Saltano fuori le idee. E poi c’è il vero e proprio lavoro di sviluppo delle idee.

Il futuro

Avete dei progetti futuri, magari tutti e tre?
Non lo so, abbiamo appena fatto Il grande giorno un film che uscito a Natale. Che peraltro la settimana prossima andremo a ritirare il David di Donatello. Ma non è un premio alla qualità, attenzione! È una semi bastardata. No, è il premio del pubblico, quello più gradito. Nessuna commissione, nessun esperto di cinema ci ha mai dato un premio, ma non importa. Il premio consiste nel fatto che siamo stati il film che ha realizzato più incassi, quindi abbiamo portato più gente al cinema.

E non è facile adesso. Quindi passerà ancora del tempo?
No, non è facile per niente. Abbiamo appena fatto questo film. Tieni conto che un po’ sono delle tempistiche normali, un po’ l’età. L’età artistica intendo (ride, ndr). Credo che passeranno almeno 2 o 3 anni. Quando hai appena girato un film hai bisogno di aspettare. Adesso ognuno di noi tre ha un suo percorso, senza che ci siano problemi.

E un ritorno al teatro?
È difficile, qualsiasi cosa è difficile, non prima di tre anni. A teatro adesso io sono il direttore artistico del Teatro Oscar. Giovanni fa l’influencer, fa i video con i rapanelli, quelle cagate lì. Però funziona, è anche molto utile, secondo me. E da Aldo mi aspetto una novità a breve, una cosa che non so nemmeno io.


Se lo aspetta o lo sa?
Non lo so, Aldo per davvero è così com’è. È imprevedibile, ma sento che sta per preparare qualcosa di interessante.

 

Andrea Carrabino

Braidese per nascita, milanese per scelta. Laureato prima in Scienze Politiche e poi in Scienze del Governo. Amo la politica, ma non la vivrei. Juventino sfegatato e amante delle serie tv e del cinema. Toglietemi tutto, ma non The Office

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