Anno nuovo, soliti problemi. Anzi, il 2024 non poteva aprirsi peggio per la maggior parte dei partiti. Fra scandali e faide interne, sia a destra che a sinistra le acque sono molto agitate. Il Pd, alle prese con la costruzione delle coalizioni per le elezioni regionali, deve fare i conti con le divisioni interne sul voto per l’invio delle armi all’Ucraina. Fratelli d’Italia è ancora scossa dal caso Pozzolo e il Risiko delle candidature nelle regioni appare più complicato del previsto. Sul fronte Lega la situazione più complicata: Salvini deve destreggiarsi fra le grane giudiziarie, la conferma dei suoi presidenti di regione e le difficoltà di Zaia dopo la bocciatura della legge sul fine vita in Veneto.
L’ambiguità del Pd sull’Ucraina
In questo inizio di 2024 il Parlamento si è trovato a decidere per il rinnovo dell’invio di aiuti all’Ucraina. La risoluzione presentata dalla maggioranza è stata approvata da entrambe le Camere ma nel Partito Democratico si è aperta una crepa evidente. Se infatti fra i dem la linea ufficiale è sempre stata quella del sostegno all’Ucraina, questa volta su indicazione di Elly Schlein il Pd ha deciso di astenersi durante la votazione. Una decisione che in molti hanno interpretato come un tentativo di avvicinamento alle posizioni del M5S, da sempre contrario agli aiuti militari perché considerati un ostacolo al raggiungimento della pace. Con le elezioni regionali alle porte, la segretaria del Pd vuole provare a rinsaldare il più possibile l’alleanza con Conte per lanciare l’assalto ai presidenti uscenti di centrodestra.
La linea imposta dalla Schlain non è però andata giù a tanti dei suoi dirigenti e in Parlamento se n’è avuta la prova lampante. Alla Camera tre deputati hanno tradito l’indicazione di partito e hanno votato a favore dell’invio di aiuti come chiesto dai partiti di governo. A guidare la rivolta l’ex ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. Ai giornalisti in Transatlantico ha giustificato il suo voto come una “questione di coerenza”. Con lui anche le colleghe Marianna Madia e Lia Quartapelle. Al Senato non è andata meglio, anzi. A votare con la maggioranza sono stati in sei: Pier Ferdinando Casini, Dario Parrini, Filippo Sensi, Simona Malpezzi, Valeria Valente e Tatjana Rojc.
Fratelli d’Italia alla prova della leadership
Non è stato un ritorno facile dalle vacanze natalizie per il partito del premier Meloni. A scatenare la bufera che ha colpito Fratelli d’Italia è stato il deputato Emanuele Pozzolo che, sparando per errore al cognato del capo scorta del sottosegretario Delmastro alla festa di capodanno, ha sollevato un polverone mediatico. Oltre alla gravità del fatto in sé, Pozzolo ha scatenato le critiche dell’opposizione poiché avrebbe cercato di ricorrere all’immunità parlamentare per sottrarsi alle indagini sull’accaduto. Giorgia Meloni è quindi corsa subito ai ripari, annunciando provvedimenti interni al partito che hanno portato alla sospensione del deputato dal gruppo parlamentare.
Il partito, oltre ad avere i riflettori puntati a causa dell’indagine su Pozzolo, deve fare i conti con gli equilibri interni alla maggioranza. Indebolito da tutti gli attacchi ricevuti, si è dovuto sedere al tavolo delle trattative con Lega e Forza Italia per risolvere il nodo candidature. Se negli ultimi anni nel centrodestra è sempre valsa la regola della ricandidatura dei governatori uscenti, ora Meloni vorrebbe rivedere qualcosa. A pesare è il cambio del peso dei partiti, con Fratelli d’Italia che ha quasi triplicato la Lega. 5 anni fa i governatori furono scelti per la maggior parte da Salvini, allora egemone della coalizione, ma adesso i meloniani non ci stanno a concedere tutte quelle presidenze ai leghisti.
Ecco quindi che è scoppiato il caso Sardegna. Sull’isola il Presidente di Regione è Christian Solinas, leader del Partito sardo d’azione, federato con la Lega. Dopo 5 anni di governo vissuti fra varie vicissitudini, Meloni vorrebbe imporre un suo candidato. Il prescelto è il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, che però ha trovato la ferma opposizione di Solinas. Con la presentazione delle candidature fissata per il 25 gennaio, il tempo stringe. A rendere ancora più incandescente l’atmosfera interna alla coalizione ci hanno pensato i leghisti che, viste le pretese di scippo da parte di FdI, hanno chiesto la presidenza della Basilicata. Deciso il no di Forza Italia che punta alla riconferma di Vito Bardi. Insomma, al netto dei consensi, sta ora a Giorgia Meloni trovare la quadra. Del resto, mantenere la leadership non è cosa facile con tutti questi partiti.
Il Veneto da risorsa a problema per la Lega
Non sono giorni facili per Matteo Salvini. Detto dei problemi in Sardegna, il ministro dei Trasporti deve fare i conti con il caos creatosi nella maggioranza in Veneto. Il Consiglio regionale ha votato la legge di iniziativa popolare sul suicidio assistito. In suo supporto si era speso in prima persona il governatore leghista Luca Zaia, uscito però sconfitto dal voto in aula. Da subito era arrivato un secco no da parte degli altri partiti di cdx, ma anche alcuni consiglieri della Lista Zaia si sono opposti. Inoltre, la legge è stata bocciata anche grazie al voto contrario della consigliera del Pd Anna Bigon. Una sconfitta che mette in difficoltà Zaia e la sua leadership proprio ora che si sta decidendo sull’eventualità di consentire un terzo mandato ai presidenti di regione. Sulla sua poltrona ha già messo gli occhi Fratelli d’Italia che ha lanciato il nome del senatore Luca De Carlo.
Oltre alla gestione delle candidature, Salvini deve fare i conti con la giustizia. In settimana è stato a Palermo dove è in corso il processo sul caso Open Arms. Dopo la deposizione si è detto fiducioso e ha ribadito d’aver agito nell’interesse del Paese. Non sono solo i guai personali ad interessarlo, ma anche quelli della compagna Francesca Verdini. Il fratello e il padre sono infatti indagati per aver manipolato l’assegnazione di un appalto Anas da 180 milioni di euro.