La legge sull’Autonomia differenziata rispetta la Costituzione, ma il governo dovrà correggerla in almeno sette punti ritenuti illegittimi. È questa la decisione presa dai giudici della Corte costituzionale a seguito del ricordo delle quattro Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania che erano duramente contrarie al ddl Calderoli.Secondo la Corte, la legge presenta sette disposizioni che violano il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia.
La legge sulla differenziazione e il nodo dei LEP
Il primo profilo di legge ritenuto illegittimo riguarda la possibilità di trasferire alle regioni materie e la successiva legge sulla differenziazione. In merito a questo aspetto, la Corte ritiene che questa delega debba interessare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata sulla base del principio costituzionale di sussidiarietà, che norma la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni.
In secondo luogo, è stata considerata incostituzionale la delega che il parlamento ha conferito al governo per definire i Livelli Essenziali di Prestazione (LEP), ovvero i servizi minimi garantiti dallo Stato in ogni parte del suo territorio su determinati ambiti (dalla sanità all’istruzione, dal welfare ai trasporti), – «senza idonei criteri direttivi». Il semaforo rosso su questo punto è arrivato perché, come spiegato dai giudici, la decisione sostanziale verrebbe così rimessa nelle mani del governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento.
Per lo stesso motivo, sono da rivedere la previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) a determinare l’aggiornamento dei LEP, e anche «il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 per la determinazione dei LEP con DPCM, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP».
Le aliquote fiscali, i finanziamenti delle competenze regionali e le regioni a statuto speciale
Il quinto punto bocciato riguarda la possibilità di usare decreti interministeriali per cambiare le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito. In sostanza, la legge prevedeva che il governo potesse modificare la quota di tasse statali da destinare alle regioni per finanziare i nuovi servizi trasferiti. Il problema è che in base a questa previsione finirebbero per essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse – non potrebbero assicurare con quelle risorse l’adempimento di quelle funzioni.
Incostituzionale è anche «la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica”. Così come, da ultimo, è stata contestata la possibilità che la legge sull’autonomia differenziata possa essere estesa anche alle regioni a statuto speciale (Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta), che già dispongono di «forme e condizioni particolari di autonomia».
«In funzione del bene comune»
La Corte ha anche voluto fissare un principio fondamentale: l’autonomia non serve a distribuire potere politico tra stato e regioni, ma «deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini». I giudici hanno sottolineato che il decentramento dei poteri deve avvenire «in funzione del bene comune».
Le reazioni della politica
La decisione della Corte Costituzionale ha acceso il dibattito politico, con maggioranza e opposizioni sempre più divise sia sull’interpretazione della decisione stessa che sui prossimi sviluppi. Che la legge non sarebbe passata così «ve l’avevamo detto», rimarca il Partito Democratico, che tuttavia non nasconde incertezza su quel che accadrà ai quesiti referendari. La legge «è stata riconosciuta come costituzionalmente prevista e corretta» commenta il leader della Lega Matteo Salvini, che non vede intralci sul percorso di entrata in vigore della legge sull’Autonomia differenziata.
Le reazioni delle opposizioni
«La decisione della Corte costituzionale di ritenere illegittime alcune disposizioni sull’autonomia differenziata è una buona notizia», commenta Angelo Bonelli, portavoce di Europa Verde e parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra. Per il parlamentare di Avs, «la sentenza è una demolizione della legge Calderoli e lo stop del mercimonio politico tra Meloni e Salvini, che scambiano il premierato con l’autonomia differenziata».
«Oggi la Corte Costituzionale frena il progetto di Autonomia con cui Meloni, Salvini e Tajani volevano fare a pezzi il tricolore e la nostra unità. L’Italia è una e solidale», dichiara il leader del Movimento Cinque Stelle Giuseppe Conte. Italia Viva ha già fatto sapere di voler procedere con il referendum, anche «per dare una spallata al governo». Spiegano dal partito di Renzi che «Italia Viva ha accolto la notizia della bocciatura della Legge Calderoli mentre era in corso la Cabina di Regia nazionale. Avevamo chiesto a Calderoli alcune modifiche proprio sui punti bocciati dalla Corte». «Ora – prosegue Italia Viva – è fondamentale che si vada al referendum come chiesto da seicentomila italiani per cancellare definitivamente la follia della Lega e dare una spallata a un Governo incapace e inconcludente».
«Qualche mese fa il ministro Salvini si è rivolto a me dicendo che l’Autonomia è prevista in Costituzione e che me ne avrebbe regalata una. Vorrei rispondergli che può tenersela e magari regalarla alla Meloni e che se la rileggano insieme. Imparino a leggere meglio la Costituzione per evitare questo ennesimo flop con una legge che ha dei profili di incostituzionalità», dichiara la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein.
Le reazioni della maggioranza
«Non ha senso parlare di vincitori o di vinti», spiega il principale promotore della legge, il ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Roberto Calderoli, intervistato dal Corriere della Sera. «La Consulta – continua Calderoli – ha sancito che l’Autonomia è costituzionale» e che si tratta di «una rivoluzione copernicana per il sistema italiano». «Abbiamo sentito per mesi raccontare che la nostra legge calpestava la Carta e amenità del genere. Non è andata così. La gran parte dei rilievi mossi possono essere agevolmente superati in fase di attuazione della legge, anche con il coinvolgimento del Parlamento, come richiesto dalla Corte», ha concluso il ministro.
«L’Autonomia si farà. I gufi mistificatori e dispensatori di fake news vengono smentiti anche dalla Corte Costituzionale». Così il Presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il quale aggiunge che si tratta di «un pronunciamento che mette la parola ‘fine’ a chi, artatamente, ha fino a oggi definito incostituzionale la Legge Calderoli sull’Autonomia differenziata». «Già da domani – conclude Fontana – valuteremo nel dettaglio i rilievi formulati dalla Consulta, ma ciò che più conta è che il negoziato non si ferma e il percorso intrapreso va avanti per raggiungere il risultato auspicato dai lombardi».
«L’Autonomia è stata riconosciuta come costituzionalmente prevista e corretta, si invita il Parlamento a portare alcune modifiche nel corso dell’applicazione, cosa che verrà fatta e quindi, bene, un altro passo in avanti», ha detto il leader della Lega e vicepremier, Matteo Salvini, intervenendo ad Agorà su Rai 3.
Secondo fonti interne a Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni avrebbe accolto con favore la decisione della Consulta.
Le conseguenze sul referendum
Il ricorso alla Corte non è l’unico tentativo da parte delle opposizioni di annullare la legge sull’autonomia differenziata: a luglio era stato depositato in Corte di Cassazione un referendum, per cui poi erano state raccolte rapidamente le cinquecentomila firme necessarie. I quesiti referendari dovranno prima superare il giudizio della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale (che dovranno verificare rispettivamente la validità delle firme raccolte e l’ammissibilità dell’iniziativa sul piano giuridico e costituzionale). Poi il prossimo febbraio il governo, d’intesa col presidente della Repubblica, individuerà il giorno per il voto tra aprile e giugno.
Tuttavia, in caso di buona riuscita dell’iter giudiziario della legge, il referendum potrebbe essere evitato. Infatti, come spiega Il Fatto Quotidiano, il governo sostiene che “le parti dichiarate incostituzionali dalla Corte sono esattamente sovrapponibili con gli emendamenti delle opposizioni alla riforma”. Pertanto, il referendum non si farà, in quanto sarà il Parlamento a correggere la riforma e il centro sinistra non potrà più scrivere i quesiti referendari. L’opposizione, dal canto suo, non condivide questa previsione.