Lanciata a ottobre 2022 nel Regno Unito, la nuova piattaforma di second-hand Zara Pre-Owned è arrivata finalmente anche in Italia.
Il second-hand del colosso spagnolo
Il brand del gruppo Inditex ha deciso di prendersi una nuova fetta di mercato. Dal 12 dicembre ci sarà una nuova sezione nel sito e nell’app di Zara per promuovere il riuso dei capi.
Il servizio arriva in Italia insieme ad altri 14 Paesi come ad esempio Francia – già da settembre – Spagna, Germania, Austria, Belgio, Croazia, Slovacchia. Ma l’obiettivo è estendere l’iniziativa a tutti i suoi mercati entro il 2025, ridurre le proprie emissioni del 50% entro il 2030 e arrivare alla neutralità carbonica entro il 2040.
In un momento in cui la moda second-hand sta prendendo sempre più piede, e applicazioni come Vinted stanno spopolando, Zara, colosso fast-fashion, ha deciso di imporsi in questo nuovo settore e favorire l’allungamento della vita dei capi del brand per ridurre gli sprechi.
Come funziona la nuova piattaforma
Le sezioni sono tre: rivendita, riparazione e donazione degli abiti usati.
Il servizio di rivendita da cliente a cliente permette di rivendere i propri capi Zara e, di controparte, acquistare vecchi articoli, solo sulla piattaforma online.
Positivo non solo perché si allunga la vita dei vestiti, ma anche chi è alla ricerca di quel capo tanto agognato ma magari sold-out sul sito principale.
Importante, però, tenere conto del fatto che negli ultimi anni la qualità dei capi Zara si è abbassata, ed è proprio la qualità a permettere la circolarità del capo.
Per quanto riguarda la riparazione, basterà consegnare i capi in uno degli store Zara e, con il pagamento di una commissione, sarà possibile ritirarli dopo pochi giorni.
La risposta degli utenti al servizio sembra dolce-amara: positiva la velocità di Zara nel garantire riparazioni, ma impossibile non chiedersi in quali laboratori verranno effettuate.
Se, infatti, i prezzi saranno competitivi come quelli dei capi in vendita sul sito, restano i dubbi e le polemiche a cui il marchio è abituato riguardo allo sfruttamento dei lavoratori. Se invece i prezzi delle riparazioni saranno alti, potrebbero disincentivare questa scelta e indurre all’acquisto di un capo nuovo.
Il servizio sicuramente più inclusivo e accolto positivamente è quello delle donazioni tramite ceste posizionate negli store. In cui sarà possibile donare indumenti, calzature e accessori che verranno valutati in base al loro stato.
«I prodotti vengono donati a persone a rischio di esclusione, venduti in negozi di seconda mano o riciclati. I proventi vengono utilizzati per finanziare i progetti sociali di tali organizzazioni, come ad esempio Croce Rossa e Caritas», si legge sul sito di Zara.
Il mondo del fast-fashion e la nuova coscienza green
Fast fashion e coscienza ambientale. Un’antitesi naturale che sta cercando di trovare il proprio equilibrio.
I consumatori sono sempre più critici nelle loro scelte, per questo le aziende vogliono produrre abiti economici, per i consumatori e per l’ambiente.
Zara, con il lancio della piattaforma Pre-Owned, ha tentato di rispondere alle esigenze di una clientela sempre più “green”, un processo che si va ad inquadrare nel rebranding del marchio voluto da Marta Ortega, a capo dell’impero di famiglia dal 2022.
L’industria della moda rimane però tra le più inquinanti al mondo. Utilizza più di 93 miliardi di metri cubi di acqua ed è responsabile di circa il 10% delle emissioni di gas serra nel mondo.
Secondo il Sustaintability Report del gruppo Inditex, del quale fa parte Zara, solo la loro società, nel 2022, avrebbe prodotto 17,23 miliardi di tonnellate di Co2.
Un’industria di sprechi quella del fast-fashion. Si conta, infatti, una produzione di circa 90 miliardi di capi d’abbigliamento all’anno, che divisi per gli abitanti della terra sarebbero circa 14 a testa.
Le discariche a cielo aperto di tutto il mondo
Secondo i dati della Commissione Europea il fast-fashion sarebbe, inoltre, responsabile, della produzione di 12kg di rifiuti pro capite. Gran parte, però, vengono smaltiti in Paesi come Cile, Ghana e Kenya, trasformando questi luoghi in enormi discariche tessili a cielo aperto. Secondo le stime, il lavaggio di indumenti sintetici rappresenterebbe il 35% delle microplastiche rilasciate nelle acque.
Nonostante ciò, la consapevolezza green dei consumatori e la guerriglia sulla competitività dei prezzi contro i nascenti colossi cinesi, non ha pregiudicato la robustezza dell’industria che si prevede possa continuare a incrementare fino al 50% nei prossimi quattro anni.
Inditex, ha infatti chiuso l’anno passato con un fatturato in crescita di 32,6 miliardi di euro e il primo semestre del 2023 con un incremento dell’utile netto e delle vendite.
A cura di Elena Betti e Vittoria Fassola