Non c’è alcuna correlazione tra mais Ogm e pericolo per la salute umana, animale o ambientale. Per organismo geneticamente modificato si intende un essere vivente, non umano, in cui il materiale genetico (Dna) è stato modificato differentemente da quanto avviene in natura, con l’accoppiamento e la ricombinazione genetica.
Dopo 20 anni di studio, dal 1996, inizio della coltivazione del mais transgenico, al 2016, non è emersa nessuna evidenza di rischio: «Questa analisi fornisce una sintesi efficace su un problema specifico molto discusso pubblicamente – ha sostenuto la coordinatrice della ricerca, Laura Ercoli, docente di Agronomia e Coltivazione Erbacee all’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna, che ha aggiunto – lo studio ha riguardato esclusivamente l’elaborazione rigorosa dei dati scientifici e non l’interpretazione “politica” dei medesimi».
Ciò che è emerso dallo studio sulle coltivazioni in Europa, Usa, Sud America, Asia, Africa e Australia, oltre a trarre conclusioni unilaterali, aiuterà ad aumentare la fiducia dei consumatori nei confronti dei prodotti Ogm. Come emerge dalla Coldiretti, ben 7 italiani su 10 ritengono gli alimenti con organismi geneticamente modificati più rischiosi di quelli tradizionali, mentre l’81% non mangerebbe mai carne e latte proveniente da animali clonati. Non a caso, in Europa, solo Spagna e Portogallo proseguono le coltivazioni transgeniche.
Ma dopo anni di battaglie ambientaliste, la Corte Europea di Giustizia ha sentenziato: «A meno di una evidenza significativa sul serio rischio alla salute umana, animale e ambientale portato dalla coltivazione di piante geneticamente modificate, gli Stati Membri non possono adottare misure d’emergenza per proibirne l’uso».
Non solo il mais non è dannoso dunque, ma avrebbe una resa superiore dal 5,6% al 24,5%, diminuirebbe gli insetti rovinosi per le piantagioni e avrebbe una percentuale inferiore di contaminanti nocivi come micotossine (-28,8%) e fumonisine (-30%). (g,d)