The Queue: l’attesa che vale Wimbledon

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A Wimbledon, si fa la coda.

Non per un panino o un concerto, ma per il tennis. Non è una fila qualsiasi: The Queue – con le maiuscole – è una tradizione a parte, una di quelle stranezze così inglesi da sembrare surreali finché non le vivi.

Noi l’abbiamo vista da vicino. Siamo andate a scoprire come funziona, chi la fa, perché la fa. E perché, alla fine, funziona.

Nella Queue ci si sveglia presto. Gli steward passano attorno alle 5:30 per rimettere in ordine il flusso: chi ha dormito deve impacchettare, chi è appena arrivato riceve la carta con il numero che segna il proprio posto. Il tono è cortese ma deciso. La macchina funziona, da anni, con un’efficacia sorprendente.

Non c’è fretta, ma tutti si muovono. Alcuni si lavano i denti con una bottiglietta d’acqua, altri sistemano il telo per fare colazione: un thermos, due fette di banana bread, qualche biscotto. C’è chi si cambia la maglietta, chi cerca il deodorante nello zaino, chi si strofina il viso con una salvietta. Parlano poco. Qualcuno ascolta la radio. Nessuno sembra annoiarsi.

 

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La giornata di mercoledì, poi, ha il sapore speciale dei quarti di finale. Da una parte del tabellone Jannik Sinner e Ben Shelton, dall’altra Flavio Cobolli contro Novak Djokovic. La speranza italiana, il volto nuovo, il campione eterno. Basta questo per capire perché, anche oggi, migliaia hanno deciso di passare la notte su un prato.

Intorno alle 7:30, i primi fortunati vengono avviati verso i cancelli. Alle 10 in punto, quest’ultimi vengono aperti. Gli steward iniziano a distribuire i braccialetti per il Centre Court e il Court 1. È il momento della verità. Chi riesce a entrare, porta con sé un racconto da tramandare. Per gli altri resta la speranza di accedere più tardi, con i biglietti rimessi in vendita da chi se ne va.

Nessuno, però, si lamenta. Sarà che Wimbledon ha questo strano potere: l’attesa sembra giusta. E allora si aspetta. Seduti sull’erba, con il viso rivolto al sole e il badge della Queue appuntato alla giacca. È solo una fila, sì. Ma qui, da quasi un secolo, è anche qualcosa di più.

Elena Cecchetto

📍Milano 👩🏼‍🎓Comunicazione, Media e Pubblicità ⚽️ Quando lavoro mi trovi allo stadio, quando non lavoro pure

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