Una riga di fondo accorciata. Un corridoio più stretto. Un solo servizio a disposizione. Non è bastato il protocollo tecnologico ad Aryna Sabalenka per sovvertire le gerarchie del campo. Davanti ai diciassettemila spettatori della Coca-Cola Arena, la quinta Battle of the Sexes ha emesso un verdetto inappellabile: Nick Kyrgios ha battuto la numero uno del mondo con un doppio 6-3 in un’ora e un quarto. La potenza della bielorussa, solitamente devastante, si è infranta contro la mano sorniona dell’australiano. Il sistema di handicap, studiato per livellare il gap fisico, si è rivelato inefficace. Anzi, controproducente.
L’evento del 28 dicembre, presentato dall’agenzia Evolve con il Dipartimento del Turismo di Dubai come un esperimento d’avanguardia, ha messo di fronte due mondi (entrambi sotto la propria egida manageriale): da una parte Sabalenka, 27 anni, tre Slam nel 2025, sacerdotessa della potenza d’impatto; dall’altra Kyrgios, figura polarizzante, scivolato in seicentosettantunesima posizione ATP, talento cristallino in un corpo logoro. «Voglio dimostrare che la potenza non ha genere», aveva proclamato Aryna. Ma in campo la differenza si è rivelata ontologica: tra chi costruisce il punto con la forza (lei) e chi lo inventa con il polso (lui).

L’autogoal dell’Equalizer
Il cuore tecnico della sfida, l’Equalizer, si è trasformato in un boomerang tattico. La riduzione del campo del 9%, basandosi sui dati Hawk-Eye della copertura laterale, avrebbe dovuto aiutare la bielorussa, invece l’ha ingabbiata. Programmata per sfondare su misure regolamentari, Sabalenka ha visto i propri lungolinea uscire di centimetri, tradita dalle nuove prospettive.
Ancora più paradossale l’effetto del servizio unico. La regola, pensata per disinnescare la prima di servizio di Kyrgios, ha finito per esaltarne il talento puro. Liberato dall’obbligo di tirare a 220 km/h, l’australiano ha servito al 70% lavorando la palla con slice e kick illeggibili. Sabalenka, costretta a cercare profondità in uno spazio angusto, ha perso fluidità e certezze.

Cruciali i due doppi falli consecutivi sul 3-3 del primo set, con la Bielorussia a servizio in vantaggio di 40-15. Fino a lì, la potenza da fondo della numero uno aveva retto. Poi, Kyrgios ha cambiato registro: colpi lenti, variazioni di ritmo, angoli stretti. Aryna, intrappolata in un campo angusto, si è sfiancata in ripartenze continue. Il secondo set è stato un’illusione ottica: Sabalenka avanti 3-1 su un calo fisico di Nick, poi il buio. L’australiano ha infilato cinque game consecutivi, chirurgico nel chiudere a rete e con palle corte, evitando il braccio di ferro da fondo.
Sport o Spettacolo? Il fantasma del 1973

Il paragone con la storica sfida del 1973 è inevitabile ma impietoso. Quando Billie Jean King scese in campo contro Bobby Riggs all’Astrodome di Houston, in gioco c’era la dignità di un intero movimento. La King accettò di giocare per contrastare la retorica sciovinista di Riggs, che sosteneva l’inferiorità genetica delle donne. Atleta totale, allora numero uno al mondo e fondatrice del WTA, sotto il profilo tecnico, diede una lezione di tattica assoluta logorando il veterano con continui cambi di ritmo. Vinse 6-4, 6-3, 6-3 davanti a 90 milioni di telespettatori, dimostrando che il tennis femminile possedeva un valore commerciale pari a quello maschile.
Fu una battaglia culturale che portò direttamente all’introduzione dell’Equal Pay allo US Open. «Ho dovuto vincere perché se avessi perso saremmo tornate indietro di cinquant’anni», dichiarò la King, sottolineando il peso politico di quel match. A Dubai, invece, è andata in scena la parodia di quella tensione: nessuna rivendicazione sociale, solo intrattenimento. La stessa Billie Jean King ha preso le distanze dall’evento odierno.
«L’unica cosa in comune con Sabalenka-Kyrgios è il fatto che si affrontino un uomo e una donna». A Dubai c’è stato solo show. Aryna è entrata in scena con giacca argentata e cuffie come una star della WWE sulle note di Eye of the Tiger. Kyrgios scherzava con la prima fila. Tra interviste a bordo campo, servizi dal basso irrisori e balletti durante i time-out medici e annunciatori che lanciavano palline firmate Ralph Lauren al pubblico, la competizione ha oscillato pericolosamente verso il circo.

Quando però la finzione è caduta e la palla ha viaggiato davvero, il gap è emerso con prepotenza. La sensazione di un match a due velocità, dove l’uomo gestisce e la donna rincorre, non è mai svanita.
Le polemiche: inclusione o umiliazione?
Il mondo del tennis si spacca. Kyrgios a fine match ha riconosciuto le difficoltà psicologiche dell’impegno: «Non molti avrebbero accettato, la pressione di dover vincere per forza è enorme». Alizé Cornet è stata durissima: «Una stupidaggine assoluta, fa male all’immagine del tennis femminile».
La critica è feroce e tocca un nervo scoperto: che senso ha mettere la numero uno del mondo in un campo più piccolo del 9% per farla competere con un uomo fuori forma? Non è inclusione, è la certificazione di un’inferiorità. Modificare le regole per creare una parità artificiale finisce per invalidare i meriti sportivi di atlete straordinarie come la Sabalenka, riducendole a sparring partner in cerca di handicap.

Anche Eva Lys ha parlato di «grande mossa pubblicitaria» senza reali contenuti tecnici. È la normalizzazione di un confronto impossibile che rischia di trasformare l’eccellenza femminile in un fenomeno da baraccone. Mettere a paragone due atleti di generi differenti sapendo che la prestanza fisica femminile è biologicamente diversa, serve solo a normalizzare la pratica di paragonare il professionismo femminile a quello maschile, anziché valutarlo per le sue eccellenze. E il messaggio che passa alle bambine in tribuna non è di forza, ma di eterno inseguimento.
I conti della battaglia
Alla fine, l’unico vero vincitore è il portafoglio. Dietro la retorica della parità, c’è un’operazione finanziaria di dimensioni imponenti che spiega da sola il perché dell’evento. Tra diritti televisivi venduti in 140 paesi, pacchetti di sponsorizzazione esclusivi (che hanno visto anche il debutto globale del nuovo brand di abbigliamento di Kyrgios, Stack Athletics) e il tutto esaurito della Coca-Cola Arena, l’evento ha generato un fatturato complessivo stimato intorno ai 25 milioni di dollari.

I premi per i giocatori, sebbene protetti da clausole di riservatezza, superano abbondantemente il milione di dollari a testa. Una pioggia di denaro che giustifica, agli occhi dei manager di Evolve, la trasformazione del tennis in un circo algoritmico. I puristi storcono il naso, ma finché ci saranno 17.000 persone disposte a pagare 800 dollari per vedere un’esibizione truccata, la Battaglia dei Sessi continuerà a essere un format vincente. Almeno in banca.
A cura di Margherita Cerrai