In Somalia dopo 30 anni Radio Muqdisho (Radio Mogadiscio) è tornata a parlare italiano. Lo ha annunciato il ministro dell’informazione Osman Dubbe lo scorso 6 ottobre. La decisione ha scatenato reazioni contrastanti: alcuni riconoscono il ruolo dell’emittente nella costituzione dello Stato dopo la guerra civile. Per molti però tornare a utilizzare la lingua evoca la memoria di un doloroso passato coloniale, senza però problematizzarlo o offrire spunti di discussione sui rapporti tra i Paesi del Corno d’Africa e l’Italia.
Parte di un’operazione più ampia
La riapertura di Radio Muqdisho si inserisce in un’opera di promozione della cultura e dell’influenza italiana nel Paese africano, ormai in corso da qualche anno. Il Governo recentemente ha intensificato la sua azione diplomatica con borse di studio, iniziative umanitarie e d’incentivo al commercio. Nel 2014 ha riaperto l’ambasciata italiana a Mogadiscio e da allora gli incontri tra gli esponenti dei due Stati sono frequenti. Nel 2018 il presidente Mohamed Abdullahi Mohamed – detto Farmajo – aveva definito “storici” questi legami, tanto che alla fine del 2020 è stato firmato un memorandum di cooperazione. All’inizio della pandemia la Somalia ha inviato una squadra di medici per aiutare l’Italia nella lotta contro il Covid-19. Quest’estate Roma ha contribuito al Programma per lo sviluppo dei settori produttivi della Somalia (Psdp), con due milioni di dollari, per stimolare il buongoverno e la ripresa economica. A metà settembre ha poi avviato alcuni corsi d’italiano all’Università nazionale somala.
Queste iniziative però non hanno convinto una grande parte dell’opinione pubblica, che non dimentica il ruolo svolto dall’Italia nel colonialismo a Mogadiscio. La Somalia è stata infatti insieme alla Libia e all’Eritrea, tra i pochi possedimenti occupati da Roma. Nonostante fosse uno dei simboli degli occupatori, Radio Muqdisho – che dal 1951 ha iniziato a trasmettere in somalo e italiano – però è stata una delle emittenti più presenti nella vita del Paese. Per molti è stata per anni la principale fonte di notizie e di aggiornamenti sulla politica mondiale e regionale. “Ha un posto importante nella memoria culturale e in quella coloniale del paese” dichiara a The New Arab lo storico Mohamed Haji Ingiriis.
La Radio della rivoluzione
È stata anche una fucina di talenti: alla sua redazione collaborarono alcuni dei più importanti giornalisti, poeti, cantanti e produttori del paese. Dagli anni ’60 tramite trasmissioni e canzoni, in lingua somala, è stata fondamentale per la crescita e la diffusione di un sentimento nazionalista. Il Kenya in quel periodo accusò Radio Muqdisho di aver fomentato alcuni disordini in una parte del paese abitata anche da somali. Nel 1969 però è arrivata la vera svolta: l’emittente divenne infatti la cassa di risonanza per il regime militare, di stampo socialista di Siad Barre. Ad animare il palinsesto c’erano musica marziale, celebrazioni della rivoluzione, ma anche dibattiti, programmi per bambini, concorsi musicali e commenti al Corano. In quel momento l’uso dell’italiano – spiega Ingiriis – è iniziato a tramontare sia nella radio – con programmi sempre più brevi – e tra la popolazione, fino all’adozione del somalo come lingua nazionale nel 1972.
Nel momento di massima diffusione, negli anni ’70 e ’80 la radio trasmetteva in tutto il Corno d’Africa e nel Medio Oriente in arabo, amarico, oromo, swahili, oltre che in somalo e in italiano. Le sue glorie però terminarono negli anni ’90, con il crollo dello Stato e l’esodo di tanti somali in paesi dove erano prevalenti l’arabo e l’inglese. Dopo una breve stagione, sotto il controllo del crudele generale Mohammed Farah Hassan, chiuse i battenti.
Un ritorno al passato
È stato il governo di transizione di Abdiqasim Salad Hassan a volere che Radio Muqdisho ripartisse. La decisione di riprendere i programmi in italiano è stata però accolta con ostilità: “Da quei tempi sono cambiate molte cose, non ultima la nostra indipendenza” ha fatto notare l’ex ministro Abdirashid Hashi ha fatto notare che “da quei tempi sono cambiate molte cose, non ultima la nostra indipendenza”. L’attivista e operatore sanitario Hodan Ali ha affermato che “dal colonialismo italiano deriva in buona parte il malgoverno somalo”. Molti accademici si lamentano poi che l’italiano non è più una lingua internazionale e oggi poche persone in Somalia lo parlano. “La generazione che parlava italiano è morta o ha lasciato il paese, perciò trasmettere in una lingua che nessuno conosce è uno spreco di risorse – ha dichiarato a The New Arab il ricercatore Abdinor Dahir – Non sono contrario all’apprendimento di nuove lingue, ma che vantaggi offre l’italiano in un mondo sempre più globalizzato?”.
“L’italiano fu imposto ai somali – spiega Simone Brioni, esperto di letteratura postcoloniale della Stony Brook university di New York – Parlare del suo ‘ritorno’ come se fosse qualcosa di normale significa non tener conto delle relazioni di potere squilibrate che si svilupparono con il colonialismo. Molti scrittori somali – nota poi – hanno usato l’italiano per dar voce al loro rifiuto del colonialismo, ma anche per chiedere di accedere agli archivi storici. Imparare l’italiano potrebbe favorire l’accesso a quei materiali”.
Ma secondo Dahir, questo difficilmente avverrà: si tratta di un’operazione di promozione culturale, imposta dall’alto versi il basso, che non problematizza le eredità della presenza italiana nel Paese e del colonialismo in modo più costruttivo e interessante. Così “imporre la lingua potrebbe sembrare una nuova forma di imperialismo culturale – conclude – Credo che sia ora per l’Italia di fare i conti con il suo passato”.