Venerdì 17 novembre 2023 due dei principali sindacati italiani, CGIL e UIL, hanno proclamato uno sciopero generale per protestare contro la manovra economica del governo Meloni. Un’iniziativa che non piace al Ministro dei trasporti e leader della Lega, Matteo Salvini, che nella serata del 14 novembre ha deciso di limitare a sole quattro ore la durata dell’agitazione, ma solo per il settore trasporti. Una decisione che era nell’aria, ma che ha acceso la miccia per uno scontro frontale tra lo stesso vicepremier e il segretario generale della CGIL, Maurizio Landini.
Le ragioni di Salvini
«Milioni di italiani non possono essere ostaggio dei capricci di Landini, che vuole organizzarsi l’ennesimo weekend lungo». Questa la posizione del Ministro dei trasporti, che già lo scorso 31 luglio aveva “precettato”, e dunque bloccato, uno sciopero. Anche a fine settembre, il 29, era prevista una agitazione sindacale, poi rinviata al 9 ottobre dopo la scelta di Salvini di ridurne la durata a quattro ore.
A dare maggior forza alla lettera inviata dal leader della Lega ai sindacati c’è il parere della Commissione di garanzia sugli scioperi, per cui la protesta venerdì 17 non può essere considerata “generale”. «Ci sono 16 categorie di lavoratori escluse dalla mobilitazione – spiega la presidente della Commissione, Paola Bellocchi – dunque manca il requisito di generalità». E quindi? Quindi, secondo le norme vigenti, alle agitazioni parziali si applicano regole più stringenti, che evitino la concomitanza di più manifestazioni e garantiscano il più possibile la prosecuzione della vita di cittadini e lavoratori. Soprattutto, non è possibile incrociare le braccia per 24 ore. «Così come è stato proclamato sembra uno sciopero à la carte», conclude Bellocchi.
L’attacco dei sindacati
Se la decisione di Salvini era nell’aria già da giorni, allo stesso modo era chiaro che CGIL e UIL non avrebbero ceduto terreno. Non rispondono alla lettera del ministero, inviata ieri a mezzogiorno, che li invita a rivedere le loro decisioni. Poi l’invito a un tavolo di confronto: il due segretari generali, Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri, disertano, inviando i loro vice. Sono proprio questi ultimi a ribadire che «lo sciopero è generale». Poi, attorno alle 21:30, arriva la lettera di precettazione. E si scatena il caos.
È il segretario della CGIL Landini a scagliarsi con grande forza contro Salvini: «Si tratta di un atto gravissimo. Mettere in discussione il diritto allo sciopero significa mettere in discussione la democrazia». C’è spazio anche per un assalto frontale a una Commissione di garanzia «compiacente» e per un richiamo all’ordine della premier Giorgia Meloni, che resta in silenzio. E poi la minaccia: «Possono precettare quanto vogliono, questa è solo la prima iniziativa. Chiediamo di fare delle riforme. Se non avremo risposte andremo avanti».
Conte, Schlein, Meloni: come cambia il dibattito politico
A osservare da vicino lo scontro Salvini-Landini sono almeno in tre. Il primo è il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte, che da giorni ha dato pieno appoggio alla protesta dei sindacati. Non è un segreto che i pentastellati ormai da tempo cerchino di accorciare le distanze con il PD: per puntare ai voti della sinistra, il sindacato è un buon bacino in cui gettare le reti. Più silenziosa, in apparenza, è proprio la segretaria dem Elly Schlein. Poche battute le sue, in linea con il sindacato e le altre opposizioni.
La grande preoccupazione della leader, però, sembra riavvicinarla all’avversaria di sempre: Giorgia Meloni, il terzo convitato di pietra. Non è un segreto che la premier e la segretaria del Pd stiano ingaggiando da mesi una battaglia politica diretta, l’una contro l’altra: tutta l’attenzione della presidente del Consiglio è rivolta alla leader dell’opposizione e viceversa, in modo da essere loro due al centro della scena politica. Lo scontro con Landini, invece, appare come un tentativo di Salvini di recuperare maggiore visibilità. Quello che il segretario leghista non tiene in considerazione è la rincorsa di Conte nel dibattito politico. Se il capo dei 5 Stelle torna sulle prime pagine, come aspira a fare, sia Meloni sia Schlein potrebbero avere problemi. La prima perché dovrebbe raddoppiare gli sforzi di difesa dalla minoranza. La seconda perché rischierebbe un riavvicinamento dei pentastellati ai numeri del Pd. E con esso alla leadership dell’opposizione.