Fiori in cambio di un’offerta per la fattoria sociale “Vita Felice”, davanti alla chiesa di San Salvatore: non era un volontario qualsiasi a distribuirli, bensì Giuseppe Salvatore Riina, figlio del superboss Totò Riina, ritenuto “capo dei capi” di Cosa Nostra e deceduto nel carcere di Parma il 17 novembre 2017.
Salvo, come è meglio conosciuto, non è passato inosservato agli abitanti di Casalbordino, comune abruzzese di poco più di 6.000 abitanti. La notizia si è diffusa rapidamente, dopo che più di una persona ha notato la somiglianza con il celebre boss e ha trovato conferma successivamente a una ricerca su Facebook, dove lo stesso Salvatore aveva postato le foto dell’attività.
Riina aveva scontato una condanna a otto anni e dieci mesi per associazione mafiosa, per poi trascorrere un periodo a Padova in libertà vigilata, sotto regime di sorveglianza speciale. Proprio in Veneto aveva stabilito i primi contatti con il mondo del volontariato, lavorando nella comunità “Famiglie contro l’emarginazione e la droga” e per la cooperativa Diogene.
Già allora il terzogenito del boss e di Ninetta Bagarella era pronto a voltare pagina. «La libertà – raccontava – è essere dimenticato. Credo nello Stato italiano. Posso non condividere alcune delle leggi, ma l’importante è che le rispetto». Nell’aprile del 2016, proprio Salvatore aveva pubblicato “Riina Family Life”, la prima e unica biografia autorizzata sulla vita della famigerata famiglia.
A fine novembre del 2017, poco dopo la dipartita del padre, Salvo era stato trasferito da Padova alla Casa di lavoro di Vasto: notizia accolta con apprensione e perplessità del territorio, suscitando polemiche, dichiarazioni di esponenti politici e persino un’interrogazione all’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, presentata dall’ex deputata del PD Maria Amato.
Proprio a Vasto il figlio del boss ha conosciuto Don Silvio Santovito e l’onlus “Vita Felice” – già nota in tutto il comprensorio per le attività di reinserimento dei detenuti – con cui ha intrapreso il suo nuovo percorso.