Il reggae è diventato patrimonio dell’Unesco. La musica dell’immortale Bob Marley è oggi patrimonio immateriale dell’Umanità. Il riconoscimento attribuito è legato alla capacità di aver contribuito al dibattito internazionale su questioni di ingiustizia, resistenza, amore e umanità.
La musica giamaicana trae ispirazione dallo ska a sua volte legato all’R&B di New Orleans, il cui ballo, considerato “rozzo”, secondo alcuni, diede origine al termine “reggae”. Sulla denominazione di questo genere tanto amato e conosciuto vi sono varie teorie. C’è chi ritiene che si riferisca alla lingua parlata dall’antica civiltà Bantu, affacciata sul Lago Tanganica, in Africa. Per altri, come Alton Ellis, il termine nacque dal fatto che la chitarra produceva un suono molto simile alla parola “reggae”. Per Bob Marley, invece, il significato era da collegarsi alla traduzione spagnola che la definiva “la musica del Re”.
La musica giamaicana era inizialmente riconosciuta come un fenomeno del ghetto e quindi associato alla violenza e alle gang. A dieci anni dall’indipendenza dal Regno Unito, quel popolo iniziò a vivere in condizioni precarie dove prosperavano disoccupazione, crimini e violenza. Il salto di qualità si ebbe quando questa iniziò ad essere influenzata dal rastafari negli anni settanta e ottanta, in particolare con la figura di Bob Marley. Fu la musica ad aiutare e rendere migliore la vita introducendo tematiche legate a questioni sociali, all’amore e a temi sessuali.
Lo stesso Bob Marley fu vittima di pregiudizi razziali da giovane e affrontò nelle sue canzoni il tema dell’identità razziale, riuscendo sempre a tenersi lontani dai gruppi afro-caraibici che manifestavano il loro dissenso attraverso il rifiuto del lavoro, la violenza e i crimini.
Il riconoscimento attribuito alla musica giamaicana non può essere quindi che motivo di orgoglio per un popolo che per anni ha subito discriminazioni e privazioni.
(i.q.)