Processo Regeni, i testimoni: “era sfinito dalla tortura”

Nuovo passo in avanti nel caso Giulio Regeni. Il 19 ottobre, durante l’udienza del processo che vede imputati quattro 007 egiziani, è stata trasmessa davanti alla Prima Corte d’Assise di Roma una video testimonianza inedita di due compagni di prigionia del ricercatore. 

La testimonianza 

«L’ho visto arrivare nel corridoio era a circa cinque metri da me. Giulio era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati e accompagnato da due guardie carcerarie».

Inizia così il racconto dei testimoni, raccolto in un’intervista video realizzata dal media qatariota Al Jazeera a due palestinesi detenuti nello stesso carcere negli stessi giorni di Regeni. 

L’incontro sarebbe avvenuto dopo un interrogatorio: «era sfinito dalla tortura – raccontano – le guardie lo portavano a spalla, verso la sua cella». Il punto su cui, secondo i due compagni di prigionia, i carcerieri avrebbero più insistito nei confronti di Regeni sarebbe stata la sua presunta abilità nel «superare le tecniche per affrontare gli interrogatori. 

«Erano nervosi, lo torturavano con la corrente elettrica. Oltre alle guardie carcerarie c’erano investigatori e ufficiali che non avevo visto prima e un colonnello, Ahmad, un dottore specializzato in psicologia. Anche il colonnello Tareq ha ripetutamente assistito agli interrogatori di Giulio».

I due palestinesi hanno raccontato anche delle condizioni in cui erano detenuti. «Eravamo in isolamento totale, le celle erano molto strette, fredde, umide e maleodoranti. Nel periodo dell’interrogatorio non si riceveva cibo e nel periodo successivo, quello della reclusione, le pietanze venivano servite ma era cibo assolutamente scadente». 

I due uomini erano stati arrestati mentre tentavano di scappare dalla Striscia di Gaza e si stavano dirigendo verso l’aeroporto del Cairo. «I miei familiari non sapevano nulla di me, non c’era nessun contatto col mondo esterno: la sensazione era quella di stare in un sepolcro. Sono stato sequestrato, detenuto e poi liberato senza un perché» ha raccontato  uno dei testimoni. 

Uno striscione a sostegno del movimento “Verità per Giulio Regeni”.

Il caso Regeni

Il giovane ricercatore friulano si trovava in Egitto, al Cairo, per svolgere uno studio sui sindacati indipendenti del territorio. Due passioni, quelle per la politica e per il sociale, che lo hanno contraddistinto da sempre, permettendogli di vincere due volte il premio “Europa e giovani” e di iniziare un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’Università di Cambridge.

Le sue ambizioni si scontrano contro un muro il 25 gennaio 2016, quando le autorità egiziane lo identificano come una spia. Regeni viene rapito e arrestato da un gruppo di militari.  Identificati, poi, in quattro ufficiali della National Security Agency, il servizio segreto interno del Cairo. 

Per otto giorni il corpo di Giulio è stato torturato e martoriato, come hanno dimostrato i segni ritrovati sul suo cadavere, rinvenuto il 3 febbraio in un fosso nella periferia della capitale egiziana. 

Le indagini hanno incontrato vari ostacoli, a partire dalla Magistratura egiziana. I giudici non hanno voluto fornire gli indirizzi dei quattro 007 accusati di sequestro di persona, lesioni e omicidio aggravato. La prima udienza si è tenuta il 25 maggio 2021, ma si è conclusa con un nulla di fatto, poiché gli imputati non erano presenti e risultavano irreperibili.

Si è dovuto aspettare sino al 2023 per ottenere una svolta significativa. Anno in cui i giudici della Corte Costituzionale hanno stabilito che il processo sarebbe potuto cominciare anche in assenza degli imputati.

Lo slogan “verità per Giulio Regeni”, fin dalle prime notizie sulla vicenda del ricercatore, ha fatto il giro del mondo, divenendo il grido di tanti cittadini, comuni e associazioni che chiedevano giustizia. Un obiettivo che, però, richiederà ancora tempo. 

A cura di Alyssa Cosma e Chiara Brunello

No Comments Yet

Leave a Reply