Nel 2022, negli enti locali sono stati assunti solo 2.492 tecnici, sui 15mila previsti per aiutare a raggiungere gli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. I dati della Ragioneria generale dello Stato segnalano inoltre, in queste istituzioni, un calo generale del numero di dipendenti dello 0,12%, un centinaio di persone in termini assoluti. Il tutto a fronte di un aumento di cinque volte della capacità di spesa, grazie agli investimenti previsti dal Pnrr, e nel momento cruciale di messa a terra di questi ultimi. All’orizzonte, si prospetta infatti l’emissione dei bandi di concorso e la conseguente assegnazione dei lavori.
Le cause e le soluzioni tentate dai governi
Gli stipendi più bassi rispetto alle altre Pubbliche Amministrazioni e i contratti a tempo determinato (il Pnrr consente assunzioni solo fino al suo termine, nel 2026), senza prospettiva di stabilizzazione, sarebbero alla base di questo dato negativo. A complicare la situazione, il fatto che negli enti territoriali le assunzioni sono pagate dai bilanci locali. Lo Stato contribuisce economicamente solo nel caso di Comuni sotto i 5.000 abitanti, spesso con ritardi che mal si conciliano con l’urgenza del Pnrr. Un esempio lampante di ciò, lo fornisce il decreto che ha ripartito i fondi (30 milioni di euro) per pagare 1.026 tecnici in 760 enti, arrivato più di un anno dopo la norma che lo prevedeva.
I governi Conte-2 e Draghi hanno cambiato più volte le regole per allargare gli organici delle PA, ma finora hanno avuto risultati non uniformi. Nel 2022, Province e Città metropolitane hanno visto i loro dipendenti ridursi rispettivamente dello 0,99% e dello 0,97%. Le agenzie fiscali hanno fatto registrare un risultato peggiore, con una diminuzione del 1,86%. Al contrario, nel resto delle Pa c’è stato un piccolo aumento di dipendenti.
In ogni caso, il Pnrr indirizza 40 miliardi agli enti territoriali e i “soggetti attuatori”, che dovrebbero tradurre questi investimenti in realtà, continuano ad avere uffici tecnici con organici ridotti all’osso.