Continuano ad aumentare le stime del Pentagono dei soldati statunitensi colpiti da “trauma cranico di lieve entità” – traumatic brain injury (TBI) –. Secondo gli aggiornamenti riportati nella giornata di lunedì 10 febbraio, i casi sarebbero 109.
Il Pentagono ha inoltre riferito che il numero di soldati con lesione cerebrale traumatica potrebbe subire ulteriore incremento, poiché i sintomi possono impiegare del tempo prima di manifestarsi. Ciò nonostante, ha ripetuto più volte lo stesso Pentagono, non c’è stato nessun tentativo di nascondere o sminuire i numeri del trauma.
«Mi sono rivolta al Pentagono per assicurare la sicurezza e le cure delle nostre forze in campo che possono essere esposte a lesioni a causa dell’esplosione in Iraq. Abbiamo bisogno di risposte», ha twittato la senatrice repubblicana dell’Iowa ed ex militare Joni K. Ernst. Intanto le autorità USA hanno fatto sapere che 76 soldati affetti dal trauma sono ritornati in servizio.
As the number of reported TBIs continue to rise, it's vital we have a plan to treat these injured servicemembers. I've called on the Pentagon to ensure the safety & care of our deployed forces who may be exposed to blast injuries in Iraq. We need answers. https://t.co/5qsHJWP9rM
— Joni Ernst (@SenJoniErnst) February 10, 2020
Quando Trump minimizzava sulle conseguenze per i soldati del raid iraniano
«Ho sentito che avevano mal di testa e un paio di altre cose. Ma niente di serio». Con queste parole aveva inizialmente chiosato il Presidente statunitense Donald Trump, durante la conferenza stampa del 22 gennaio in occasione del forum economico di Davos. La risposta di Trump era arrivata dopo che una giornalista gli aveva chiesto come mai 11 uomini dei reparti statunitensi di stanza alle basi aeree iraqene di Al-Asad ed Erbil, fossero stati trasportati in Germania e Kuwait per ricevere cure mediche dopo l’attacco iraniano del 3 gennaio.
Col passare dei giorni quelle stime sono progressivamente aumentate: il 24 gennaio il Pentagono riferiva di 34 soldati colpiti da trauma cranico di lieve entità. Numero salito prima a 50 e poi a 64 entro la fine di gennaio.
Seppur diagnosticati come “lievi”, i traumi cerebrali subiti dalle truppe statunitensi hanno «conseguenze fisiche, cognitive, emotive e caratteriali che colpiscono ogni aspetto della vita» ha sottolineato Michael Kaplen, ex presidente della Brain Injury Association dello Stato di New York.
Lo stesso Kaplen ha inoltre specificato, riferendosi alle parole di Trump, che mettere sullo stesso piano traumi cranici e un mal di testa sia «oltraggioso e irrispettoso» nei confronti delle migliaia di soldati che ne soffrono a seguito dei conflitti in Iraq e Afghanistan. Un’“epidemia silenziosa”, quella del TBI, che, stando ai dati del Pentagono, ha colpito circa 408mila soldati dal 2000 ad oggi.