«Siamo al corrente del caso Patrick George Zaky e lo stiamo valutando con la nostra delegazione Ue al Cairo. Se necessario, intraprenderemo le adeguate azioni». Il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna Peter Stano commenta così l’arresto del ricercatore dell’Università di Bologna e attivista dei diritti umani fermato venerdì all’aeroporto del Cairo. L’Italia, secondo fonti dalla Farnesina, ha chiesto l’inserimento del caso all’interno del meccanismo di monitoraggio processuale coordinato dalla delegazione Ue sul posto.
Zaky, 27 anni, egiziano, vive in Italia dallo scorso agosto dove studia per un dottorato all’Università di Bologna. A dare la notizia dell’arresto è stata l’Egyptian Initiative for Personal Rights (Eipr), l’organizzazione per la quale l’attivista lavora e che indaga sul caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso nel 2016 al Cairo.
Zaky era tornato in Egitto per una breve vacanza a Mansoura, sua città natale a 120 chilometri dal Cairo, dove vive la sua famiglia. Appena atterrato all’aeroporto della capitale, è stato fermato dai servizi egiziani. Secondo l’Eipr, è stato trasferito a Mansoura qualche ora dopo il fermo e qui sarebbe stato interrogato sul suo lavoro di attivista, minacciato, picchiato e torturato con “cavi elettrici volanti”. Sabato mattina è stato nuovamente interrogato. I capi d’accusa: pubblicazione di notizie false con intento sovversivo, organizzazione di proteste contro l’autorità pubblica, terrorismo, propaganda per il rovesciamento dello stato egiziano.
Sul ricercatore pendeva un mandato d’arresto in Egitto dallo scorso settembre. Secondo l’Eipr da ottobre sei membri dell’organizzazione sarebbero stati temporaneamente trattenuti per essere sottoposti al medesimo interrogatorio.
Dopo il caso Regeni, i rapporti tra Italia ed Egitto sono ripresi nell’agosto del 2017 nonostante le proteste degli attivisti e dei genitori di Giulio.