Operazione Xydi. È questo il nome dell’azione coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo che oggi, 2 febbraio 2021, ha portato all’arresto di 22 persone collegate a Cosa Nostra. Destinatari del fermo, diversi esponenti delle famiglie mafiose agrigentine e trapanesi oltre che due poliziotti penitenziari di Agrigento e un’avvocata.
Uno studio legale per le riunioni tra boss
Negli ultimi due anni, infatti, i capi delle cosche si riunivano nell’ufficio di una legale di Canicattì, rassicurati dal divieto di intercettare le conversazioni tra cliente e avvocato. La donna, grazie alla collaborazione di un agente di polizia penitenziaria, si occupava anche di mettere in contatto tra loro alcuni boss detenuti in regime di 41-bis.
Le indagini hanno fatto emergere come l’avvocata sfruttasse i colloqui in carcere col proprio assistito Giuseppe Falsone, esponente di spicco del mandamento di Agrigento, per introdurre un cellulare che permettesse al boss di comunicare con l’esterno.
Matteo Messina Denaro resta latitante
Al provvedimento di fermo, indirizzato a 23 persone, è riuscito a sfuggire solamente Matteo Messina Denaro, capomafia originario di Castelvetrano, latitante da 28 anni. Dalle indagini risulta che Messina Denaro resti tutt’ora il giudice supremo degli equilibri mafiosi. Nelle intercettazioni, infatti, alcuni mafiosi affermano che prima di cambiare la guida del mandamento di Canicattì, sia necessario il beneplacito del padrino trapanese.
Il ruolo della Stidda
Dall’operazione Xydi è stato nuovamente evidenziato il ruolo svolto dalla Stidda all’interno dell’universo mafioso. Infatti, proprio all’associazione criminale che opera per lo più tra Agrigento, Gela e Caltanissetta, appartiene uno dei destinatari dei provvedimenti emessi della Dda di Palermo: Antonio Gallea, il quale, già condannato all’ergastolo per l’omicidio del giudice Rosario Livatino, sfruttando i permessi premio concessi agli ergastolani, avrebbe continuato a gestire gli affari della Stidda. L’organizzazione mafiosa attiva nel nisseno e nell’agrigentino, dopo l’arresto di Totò Riina avvenuto nel ’93 si sarebbe sempre più radicata nel territorio.
La nascita della Stidda
Secondo Giuseppe Bascietto, autore del libro “Stidda”: ‹‹nel territorio mafia e Stidda sono una cosa sola. La Stidda nasce ad Agrigento perché dei picciotti sono stufi di stare a sentire gli ordini di Cosa nostra – spiegava il giornalista di Vittoria nel 2019, durante la presentazione del suo libro – Nella fascia dell’isola che va da Ragusa a Vittoria, Gela e Caltanissetta, invece, la Stidda si radica perché viene utilizzata per portare attacchi mortali all’ala stragista di Totò Riina, con il consenso di Bernardo Provenzano.››.
La reazione alle stragi di Riina
La Stidda nascerebbe, dunque, da una costola di Cosa Nostra, spezzata dall’impatto devastante che ebbe la strategia stragista di Totò Riina. Tra anni ’80 e ’90 infatti, il boss di Corleone rivolse la propria follia sanguinaria sia verso le istituzioni che contro le famiglie siciliane non allineate. Questo, negli anni, ha danneggiato doppiamente le operazioni illecite dell’organizzazione criminale. Da un lato ha provocato la reazione dell’opinione pubblica, sconvolta dalla violenza con cui Cosa Nostra perseguiva i propri scopi, dall’altro ha creato una frangia di clan siciliani disposti a tutto pur di eliminare Riina. Inoltre, mentre la mafia siciliana col tempo ha sempre più compromesso la propria posizione, ‘ndrangheta e camorra sono riuscite ad espandersi, acquistando importanza sia sul piano dei contatti istituzionali, sia su quello del commercio internazionale e dei mercati finanziari. Tutto ciò non è mai piaciuto alle famiglie mafiose statunitensi, legate tradizionalmente più alla Sicilia che alla Calabria.
Non deve sorprendere, a tal proposito, che l’operazione Xydi confermi gli scenari aperti dall’inchiesta “New Connection” del 2019, portata avanti grazie alla collaborazione tra la squadra mobile di Palermo e l’FBI statunitense. Ovvero la presenza di stretti legami tra i Gambino di New York e gli Inzerillo di Passo di Rigano (Palermo), sterminati negli anni ’80 proprio da Totò Riina.