Potrebbe essere classificato come genocidio o crimine contro l’umanità quello che sta succedendo nella Repubblica Democratica del Congo. Lo dice il portavoce dei diritti umani dell’Onu, Rupert Colville, venerdì 10 gennaio. La diffusione delle azioni criminose e la loro sistematicità sono certamente caratteristiche che si inquadrano come crimini contro l’umanità. «È difficile però provare l’esplicito intento di voler distruggere un’intera parte della popolazione», ha però specificato Colville.
Un guerra civile lunga 30 anni
Le uccisioni, gli stupri e le brutalità che stanno interessando la provincia nord-orientale della Rdc, la provincia Ituri, hanno come protagonisti i due gruppi etnici principali della zona, la tribù degli Hema e dei Lendu. Questi ultimi stanno ampliando il loro arsenale e si stanno ingigantendo, dopo aver preso possesso della forza militare.
Le ostilità sono nate dal controllo della terra, un bene fondamentale per un gruppo tribale che vive di pastorizia, gli Hema, ma anche per l’altro, che vive di agricoltura, i Lendu.
Ma i Lendu non si limitano a imporre la loro forza, incendiando i villaggi degli Hema, ma infieriscono sui cadaveri asportandone delle parti e utilizzandole come trofeo di guerra, nel tentativo di fiaccare ulteriormente l’animo dell’etnia con sui si contendono il territorio.
Il rapporto Onu parla di 701 morti e di 142 crimini sessuali in questa zona, tra Dicembre 2017 e Settembre 2019. Uno scenario drammatico che tuttavia si inserisce in un Paese tra i più instabili al mondo e con una guerra civile che va avanti da decenni e che dal 1996 ha fatto 6 milioni di morti.
Un’impalpabile missione di pace
Ancora oggi il governo centrale della Repubblica Democratica del Congo non riesce ad avere controllo su tutto il territorio. Sebbene sia riuscito a portare un po’ di pace nella capitale, Kinshasa, buona parte del Paese è in mano a 160 gruppi che lottano per il potere.
In questa situazione di estrema violenza si inseriscono anche le Forze Democratiche Alleate, Adf, un gruppo terroristico che lo Stato Islamico riconosce come uno degli alleati nella zona centro africana. Negli ultimi 5 anni sono 1500 le vittime di attentati per mano dell’Adf, altri 800 sono stati i rapimenti.
Allo scopo di fare ordine nel violento caos congolese, è dal 2000 che la missione Onu MONUSCU ha messo piede nel territorio, che è oggi la più grande missione Onu nel mondo. Nella zona di più difficile controllo, il nord-est, sono state schierate 18 mila truppe, nel tentativo di stabilizzare un’area distrutta dal conflitto tra gli Hema e i Lendu e il passaggio del gruppo terroristico ADF.
Nonostante il miliardo che ogni anno viene stanziato per la sola ex colonia belga, la missione peacekeeper è molto lontano dall’avere instaurato la pace, e in alcune occasioni è stata lei stessa un elemento di instabilità.
Il sentimento di abbandono dei congolesi
Il sentimento che i “caschi blu” siano inutili si sta facendo strada tra i congolesi, che percepiscono la missione MONUSCU come uno spettatore che assiste passivamente agli attentati per mano dell’Adf e alle sofferenze di tutta la Repubblica Democratica del Congo.
Per questo a fine novembre scorso decine di persone hanno preso d’assalto la sede di Beni della missione Onu. Per respingere l’assalto alla struttura, che è stata parzialmente incendiata, le Nazione Unite avrebbero però causato ulteriori morti.
«L’uso di una forza eccessiva sui manifestanti è un’inaccettabile violazione degli standard internazionali sui diritti umani. È ancora più inaccettabile per le forze di pace delle Nazioni Unite», ha detto Jean-Mobert Senga, che si trova in Congo per Amnesty International. Senga ha aggiunto quanto sia assurdo che i congolesi siano costretti a morire non solo per mano dei ribelli, ma anche di organizzazioni internazionali che dovrebbero proteggerle e garantire gli standard internazionali sui diritti umani.
Un approccio, quello dell’Onu, che non ha aiutato il Paese e che rischia di compromettere anche altre organizzazione internazionali che operano nel territorio. Ne è un esempio Unicef, che ha lanciato una campagna di vaccinazione contro l’ebola in seguito alla morte di oltre 2 mila persone. L’organizzazione ha dovuto però fare i conti con l’ostilità a volersi vaccinare, dopo che si è diffusa la convinzione che fosse una strategia per eliminare la popolazione locale.
I congolesi si sentono quindi abbandonati dalle forze internazionali che stanno depotenziando la missione di pace dopo averne appurato la conclamata inconcludenza, rimpallando la responsabilità alle autorità congolesi. E si sentono abbandonati anche dal governo centrale. Che non c’è.