«Adorava New York, la mitizzava smisuratamente. Per lui, in qualsiasi stagione, questa era ancora una città che esisteva in bianco e nero». Con queste parole si apre Manhattan (1979), uno dei film più rappresentativi di Woody Allen, che il primo dicembre (e non il 30 novembre, come riportano alcuni siti) compie novant’anni. Il regista americano ha sempre nutrito una devozione romantica per la città in cui è nato: New York, presenza costante nelle sue storie, tanto da diventare un personaggio a sé stante.
Il film su Trump e l’assenza di finanziamenti in America
In una recente intervista rilasciata al Corriere della Sera, riguardo alla possibilità di girare un film su Trump ha risposto «Non sono mai stato un regista politico e non ho intenzione di occuparmi di una politica che cambia di giorno in giorno […] Ho un paio di idee cinematografiche molto forti che vorrei girare negli Stati Uniti – ha poi continuato – Il problema è quello di sempre: trovare i finanziamenti». L’ultimo film del regista, Coup de chance (2023), aveva infatti avuto una co-produzione francese e inglese, mentre il precedente Rifkin’s festival (2020) era stato finanziato tra Francia, Italia e Usa.
Allen ha inoltre parlato dell’esordio letterario Che succede a Baum? edito in Italia dalla Nave di Teseo. Il romanzo, ambientato nella Grande Mela, segue Asher Baum, un giornalista ebreo di mezza età che tenta la strada della narrativa filosofica, divorato dall’ansia e ignorato dalla critica.
I rapporti con Diane Keaton e Mia Farrow dentro e fuori dal cinema
Oltre al legame con New York, la vita privata del cineasta ha spesso intrecciato dimensione artistica e personale. Tra le sue storie più note c’è quella con Diane Keaton, scomparsa l’11 ottobre, con cui ha avuto una relazione tra il 1968 e il 1972. Il rapporto si è poi trasformato in una collaborazione duratura: l’attrice ha infatti recitato in alcuni dei suoi film più celebri, da Io e Annie ad Amore e guerra, fino a Manhattan e Radio Days.
Risale invece al 1980 il rapporto con Mia Farrow. La storia amorosa e il sodalizio artistico si sono interrotti nel 1992, con Mariti e mogli, in seguito allo scandalo delle accuse di abusi sessuali mosse da Dylan Farrow, figlia adottiva dell’attrice. Cinque anni più tardi Allen ha sposato Soon-Yi Previn, l’altra figlia adottiva della donna, destando lo stupore dell’opinione pubblica.
Riconoscimenti e personaggi alleniani
Nel corso della sua carriera il regista statunitense ha vinto 4 premi Oscar: con Io e Annie (1977) per miglior regia, sceneggiatura originale e film, mentre con Hannah e le sue sorelle (1986) per la sceneggiatura originale.
È stato insignito del Leone d’oro alla carriera al Festival di Venezia del 1995 e del Golden Globe alla carriera nel 2014, oltre alla Palma d’Oro onoraria al Festival di Cannes nel 2002.
Prima di diventare l’autore che oggi celebriamo – con una fertile produzione di cinquantacinque lungometraggi all’attivo – Allen aveva costruito la propria fama come stand-up comedian nei teatri americani, dove ha ottenuto un successo che lo ha condotto prima in TV e poi all’esordio nel cinema.
Dal comico in cerca della propria identità sentimentale in Io e Annie all’ipocondriaco sceneggiatore televisivo di Hannah e le sue sorelle, la penna del maestro newyorkese è riuscita a tratteggiare una moltitudine di caratteri spesso interpretati dal regista stesso. Non a caso il termine “alleniano” è entrato nel linguaggio comune per descrivere quella miscela di fragilità, umorismo e nevrosi che solo il suo cinema ha saputo restituire con tale efficacia.

L’amore per il cinema e le passioni maggiori
Alla domanda «La vita è sempre più bella di un film?» ha risposto: «No, anche un film brutto è migliore della vita». I temi che lo guidano da sempre – il jazz, il cinema europeo, il tennis, la letteratura russa – spiccano per l’arguzia con cui sono inseriti nelle sceneggiature.
È possibile individuare anche un’impronta filosofica in cui emergono: l’angoscia esistenziale kierkegaardiana, il nichilismo nietzschiano e la psicoanalisi dell’inconscio di Freud, che Allen ha trattato con brillante sagacia. Tra le frasi più celebri ricordiamo «Non è che ho paura di morire, solo che non voglio esserci quando accadrà», oppure l’ironia sulla durata del rapporto con gli analisti «sì, da quindici anni soli… gli concedo un altro anno, poi vado a Lourdes».
Forse è proprio quella satira pungente che ha reso vividi i capitoli del cinema alleniano: una nostalgia romantica in cui l’umorismo finisce per colorare anche il ritratto più malinconico dell’esistenza.
A cura di Federico Tondo