«Non fu crudeltà né stalking»: polemica per le motivazioni della sentenza Turetta

Le settantacinque coltellate inferte da Filippo Turetta a Giulia Cecchettin non sarebbero segno di crudeltà, ma il risultato della sua «inesperienza». È quanto si legge nelle 143 pagine di motivazioni con cui la Corte d’Assise di Venezia ha condannato Turetta all’ergastolo, il 3 dicembre 2024. Una pena in cui non sono state riconosciute le attenuanti generiche, poiché l’omicidio è stato compiuto per «motivi vili e spregevoli», derivati «dall’intolleranza verso la libertà e l’autodeterminazione della giovane donna». Turetta ha infatti agito «con spietata lucidità anche dopo aver inferto le 75 coltellate». È stata esclusa, invece, l’aggravante dello stalking: per i giudici, «Giulia non aveva paura di lui».

La crudeltà

Secondo il collegio giudicante, la dinamica efferata dell’omicidio — caratterizzata da colpi ripetuti, ravvicinati, inferti «quasi alla cieca» — non sarebbe stata frutto, «in quelle particolari modalità, di una deliberata scelta dell’imputato». Turetta, infatti, «non aveva la competenza e l’esperienza per infliggere colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e pulito» e avrebbe quindi continuato a colpire Giulia finché non si sarebbe reso conto della sua morte.

Lo stesso Turetta ha dichiarato di essersi fermato perché «impressionato» dalla coltellata inferta all’occhio della vittima. Un elemento che, secondo la corte, confermerebbe l’assenza della volontà di «arrecare scempio o sofferenza aggiuntiva». Insomma, la dinamica del delitto non permetterebbe di «desumere con certezza, e al di là di ogni ragionevole dubbio che l’imputato volesse infliggere alla vittima sofferenze gratuite e aggiuntive». Il numero elevato di coltellate non sarebbe dunque indice di crudeltà, bensì il risultato «di un’azione concitata, legata all’urgenza di portare a termine l’omicidio».

Lo stalking

Chiamate e messaggi incessanti, a volte minacce di ritorsione. Anche per la corte, il comportamento di Turetta è stato «di carattere persecutorio» e «in astratto idoneo a ingenerare nella vittima uno stato di ansia e di paura». In astratto, però: secondo i giudici, «non si ravvisano in concreto elementi anche solo sintomatici che consentano di ritenere che Giulia abbia vissuto un grave stato di ansia, turbamento e paura anche per la propria incolumità».

A supporto di questa valutazione, la Corte richiama le testimonianze della famiglia e delle amiche. Il padre, Gino Cecchettin, ha spiegato che la figlia non aveva mai parlato di «atteggiamenti violenti o irrispettosi»; il fratello ha riferito che Giulia sembrava «più arrabbiata che impaurita». Per i giudici, quindi, la giovane era consapevole dell’ossessione di Filippo, ma non della sua pericolosità.

Le polemiche

Le motivazioni della sentenza hanno riacceso il dibattito pubblico, dividendo l’opinione tra chi invoca equilibrio e distinzione tra empatia e diritto, e chi ritiene necessario rivedere i criteri giuridici. «Una sentenza simile, in un momento storico come quello che stiamo vivendo, non solo è pericolosa, ma segna un precedente terribile» ha scritto sui social Elena, la sorella di Giulia. Il suo avvocato, Nicodemo Gentile, ha annunciato che chiederà al pm di presentare ricorso in appello affinché vengano riconosciute le aggravanti di crudeltà e stalking. «Fa la differenza riconoscere le aggravanti – spiega Elena – perché vuol dire che la violenza di genere non è presente solo dove c’è un coltello o un pugno. Ma molto prima».

Le parole dei giudici hanno suscitato reazioni dure anche sul piano politico. Martina Semenzato, presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio, ha ricordato che «l’overkilling, ovvero il numero spropositato di colpi, è una modalità esecutiva tipica del femminicidio» e che proprio per questo occorre «ripensare l’attuale modalità di giudizio». Le parlamentari del Movimento 5 Stelle nella stessa Commissione definiscono la sentenza «inaccettabile». La vicepresidente del Senato, Licia Ronzulli (Forza Italia), accusa i magistrati di aver «infierito» contro Gino Cecchettin. Laura Ravetto (Lega) si è detta «basita», mentre Laura Zanella (Avs) ha parlato di «una lunga notte da dover sopportare».

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