A lungo è stata attesa la proclamazione della lista dei ministri del governo Draghi. Eppure venerdì, non appena annunciata, si è scatenato un effetto domino di malcontenti. Guardando il quadro generale si osserva la presenza di 15 uomini e 8 donne. Ma soprattutto, ciò che salta all’occhio è che nessuna di quest’ultime sia di sinistra. Nel nuovo esecutivo, troviamo diversi nomi del Pd: Lorenzo Guerini ministro della Difesa, Andrea Orlando al Lavoro e Dario Franceschini alla Cultura, ma nemmeno una esponente dem.
Le voci
Tale mancanza, ha scaturito un eco di voci che si son fatte sentire. Tra le prime, subito dopo la lettura dell’elenco dei ministri, l’ex titolare dell’Istruzione Valeria Fedeli, «nemmeno una nel mio partito».
Il coro con il passare delle ore, non si è affievolito, anzi si è fatto sempre più rumoroso. «Una ferita» la definisce la portavoce della conferenza delle donne dem, Cecilia D’Elia. E le deputate del Pd ricordano come «competenza e passione» delle donne «siano state lasciate al palo».
Anna Ascani rilancia: «Bisogna lavorare a una leadership femminile», altrimenti non cambierà nulla.
Gli altri nomi
Silvio Berlusconi porta due ministre su tre, Gelmini e Carfagna, rispettivamente per gli Affari regionali e per il Sud. Il Movimento e la Lega portano una donna a testa: Fabiana Dadone alle Politiche giovanili ed Erika Stefani alla disabilità. Confermata anche Elena Bonetti alle Pari opportunità, unica rappresentante di Iv, che assieme a Teresa Bellanova dimettendosi aveva scatenato la caduta del governo Conte 2.
Dal punto di vista tecnico Draghi ha chiamato alla Giustizia Marta Cartabia, ex presidente della Corte Costituzionale, è stata scelta al ministero di Grazia e Giustizia. All’Università invece, entra Maria Cristina Messa: ex rettrice della Bicocca, medico radiologo specializzata in medicina nucleare. E’ stata poi riconfermata all’Interno, Luciana Lamorgese, prefetto di lunga esperienza.
Le assenze di sinistra
Ma tornando a sinistra: nessun nome. È vero che a scegliere i ministri è stato il presidente del Consiglio Draghi, ma è altrettanto vero che ai vertici del Pd, le figure femminili non abbondano. Erano circolati alcuni nomi come quello di Debora Serracchiani, canditata al Lavoro ma infine è stato scelto Andrea Orlando. Lei stessa afferma «Non ci sono più scuse nemmeno per le donne dem, che hanno da imparare una dura lezione: nessuno spazio ci sarà dato per gentile concessione. Quando si tratta di ruoli di potere vero, non funzionano le quote di genere come riserva indiana, oppure gli articoli dello Statuto come specchietto per la democraticità interna».
Fino all’ultimo minuto tra i diversi nomi è stato annunciato l’ingresso di una giovane come Francesca Bria, all’avanguardia nell’ innovazione digitale, o di Lucrezia Reichlin, economista. Ma neppure loro sono state confermate. La stessa sorte per Linda Laura Sabbadini, statistica e pioniera degli studi di genere alle Pari Opportunità o per Debora Serracchiani, ex presidente di Regione al Lavoro.
Le parole di Zingaretti
Adesso ci si chiede come uscirne. Il segretario del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, all’indomani della presentazione del nuovo esecutivo scrive: «Farò di tutto perché questo (la valorizzazione della competenza femminile) si realizzi nel completamento della squadra di governo». Il tentativo è quello di rimediare con i sottosegretariati, ma ci si chiede se le donne dem decideranno di accettare o considereranno questa prospettiva come un premio di consolazione.