Gianluigi Gabetti, storico uomo della Fiat e braccio destro dell’avvocato Gianni Agnelli, si è spento nella notte a Milano. L’annuncio è stato dato dalla famiglia. I funerali i svolgeranno in forma privata, mentre sarà pubblica la messa di trigesimo che si svolgerà presso la chiesa della Consolata di Torino.
Laureatosi in legge presso l’Università di Torino, Gabetti iniziò la sua carriera alla Banca Commerciale Italiana, ottenendo il ruolo di vice direttore. Successivamente passò alla Olivetti dove, nel 1965, fu eletto presidente della Olivetti Corporation of America. E proprio negli Stati Uniti, a New York, conobbe nel 1971 l’Avvocato Agnelli, il quale gli offrì di rientrare in Italia con il ruolo di direttore generale dell’Ifil, la holding finanziaria della famiglia Agnelli, di cui diventò, poco tempo dopo, amministratore delegato.
Gianluigi Gabetti fu, di fatto, l’uomo dei rapporti internazionali degli della famiglia torinese e della Fiat. Dal 1993 al 1999 ricoprì il ruolo di vicepresidente della Fiat, dirigendo operazioni di grande rilevanza come l’accordo che portò i libici della Libyan Arab Foreign Investment Co (Lafico) a sottoscrivere un aumento di capitale della Fiat acquisendo il 9,7% delle azioni societarie.
Dopo aver lasciato le sue cariche per limiti di età ed essersi ritirato a Ginevra, rientrò dopo poco nel capoluogo piemontese a causa della malattia dell’Avvocato Agnelli. Alla morte di quest’ultimo, divenne presidente della Fiat Umberto Agnelli che chiese a Gabetti di tornare in servizio affidandogli la presidenza dell’Ifil.
Quando la morte di Umberto Agnelli privò la famiglia di una linea di successione, fu lui, assieme a Franzo Grande Stevens, a guidare l’operazione che avrebbe portato ai vertici della società Sergio Marchionne e ad assicurare la successione di John Elkann alla guida del gruppo.
Gabetti si occupò anche della gestione della Fiat nel momento critico in cui i debiti con le banche avrebbero potuto distruggere la società. Tra le soluzioni proposte, Gabetti approfondì quella della conversione in azioni dell’equity swap, che permise agli Agnelli di mantenere il controllo sul gruppo. Per questo motivo venne processato e assolto, ma di quell’incriminazione si crucciava: «Non voglio che resti questa macchia su di me».